TRENTO - Quando due leggende dello sport si incontrano non possono che essere scintille. Del resto, uno dei due è Tomba “La Bomba”, indisciplinato e fuori dagli schemi, un fiume incontenibile di aneddoti e battute. Da Calgary a Sierra Nevada, passando per il trofeo Topolino sul Bondone e la Montagnetta di San Siro, Alberto Tomba ha fatto viaggiare indietro nel tempo una platea entusiasta dell’auditorium Santa Chiara al Festival dello Sport di Trento. C’è chi parla di sport, e chi è lo sport. Alberto Tomba appartiene alla seconda categoria. Quando c’è lui sul palco l’atmosfera cambia: basta una battuta, un gesto, un sorriso e il pubblico è suo. L’intervista con Antonio Rossi, amico di mille avventure e campione olimpico come lui, diventa un viaggio fotografico dentro la leggenda, tra momenti epici, aneddoti irresistibili e un’energia che non ha perso un colpo
(Alberto Tomba foto credit Alessandro Holneider Pat)

Le prime foto lo mostrano ancora un ragazzo, quando «si gareggiava ancora con i pali di legno e ci si spaccava la faccia». «Erano anni belli. Ricordo la mia prima vittoria alla Montagnetta di San Siro: vinsi a dispetto di tutti i pronostici ma il direttore della Gazzetta per scaramanzia non volle neppure mettere il cognome Tomba sulla prima pagina. Il titolo diceva solo che un azzurro della squadra B aveva beffato i più grandi».
Da lì in poi è stato un crescendo. L’ingresso in squadra A, fino all’esplosione mondiale di Crans Montana 1987, bronzo iridato e inizio della leggenda. Poi arrivano i momenti che hanno fatto la storia: Calgary ’88, l’oro olimpico in gigante e slalom «Avevo il pettorale numero 1: non potevo non vincere! Tra una manche e l’altra chiamai mia madre, tutto veniva facile.
E poi… qualcuno mi ha rubato quel pettorale, ancora lo aspetto!».
Ogni foto è un pretesto per una risata, un racconto, una memoria condivisa. Si passa da Albertville ‘92, con il secondo trionfo olimpico. «Rivincere è ancora più bello. In quell’occasione è stata la vittoria di Deborah Compagnoni in supergigante a darmi la forza di vincere tra la prima e la seconda manche». Fino ai Mondiali di Sierra Nevada del 1997, dove Tomba chiude in bellezza con una doppietta d’oro. Alla fine della carriera saranno 50 vittorie.
Nel viaggio fotografico non manca l’ironia. Sullo schermo scorrono immagini del suo fan club di Castel De Britti, che conserva cimeli di ogni genere, lettere, ritagli. I suoi fan lo hanno sempre seguito, in capo al mondo. «A Sierra Nevada ho dormito in malga per paura di perdere la gara» rivela il capo del Fan club Loris dal pubblico. Perché quella di oggi non è un’intervista standard. Dalla platea si alzano compagni di viaggio e di vita ad aggiungere colore ad una storia già bellissima.
Tra tante risate c’è spazio anche per malinconia, soprattutto ricordando l’ultima gara e l’addio alla carriera, nel 1998. «Forse ho smesso troppo giovane. La nostalgia è arrivata dopo, ma ormai era tardi. Potevo forse andare avanti ancora un po’», rivela commosso Alberto.
Si commuove, ma non per molto: un istante dopo, un video di Jure Kosir lo riporta alla festa di Bormio del 1995, in bermuda gialli, Coppa del Mondo in mano e 60.000 persone a urlare il suo nome. «È stato un momento unico - ricorda - forse il più bello di tutti».
Alberto Tomba è sempre lo stesso: diretto, ironico, istintivo. Uno che non ha mai avuto bisogno di filtri, né dentro né fuori dalle piste. A Trento, davanti a un pubblico incantato, ha ricordato a tutti che lo sport non è solo medaglie e classifiche: è passione, follia, vita vera.