TRENTO - «Il mondo che conosciamo è finito. Quell’Occidente, che è stato da sempre punto di riferimento globale, non esiste più. Dobbiamo abituarci all’idea che le cose sono profondamente cambiate e che quel potere lo abbiamo perso. Come europei dobbiamo unire le forze per contare ancora qualcosa in questo nuovo ordine mondiale». Non usa giri di parole e non fa sconti Josep Borrell, già Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vice presidente della Commissione europea (2019-2024), che è intervenuto oggi alla Scuola di Studi internazionali.
Parole spiazzanti che sono risuonate nella Sala conferenze di Economia, gremita di studenti e studentesse, oltre che di docenti della Scuola di Studi internazionali e dell’Ateneo. L’occasione era l’avvio delle attività della Scuola, tradizionalmente accompagnato da una lezione di alto profilo. E Borrell ha offerto un’analisi lucida di geopolitica internazionale, toccando tutti i nodi più scottanti: la fine dell’egemonia politica e culturale dell’Occidente, la virata autoritaria degli Stati Uniti, il cambiamento degli assetti globali, il ruolo, ancora da definire, dell’Unione europea e la difesa comune. E poi le due drammatiche questioni aperte: Ucraina e Palestina.
«Qui a Trento, in mezzo a queste belle montagne, abbiamo un bell’esempio del ‘modo europeo’ di vivere. Ma la realtà a cui siamo così abituati può cambiare in fretta. Se pensiamo agli ultimi anni, del resto, il cambiamento è stato molto più veloce di quanto avremmo mai potuto immaginare. Dobbiamo ricercare le tracce di questo terremoto politico perché, anche se i segnali ci sono da tempo, le cose negli ultimi mesi sono precipitate. E l’incertezza è destinata a proseguire in futuro».
Per Borrell, l’origine dello spaesamento occidentale è da ricercare nel crollo dei punti di riferimento economici e finanziari tradizionali: «Le istituzioni regolatrici e i meccanismi che conoscevamo sono saltati, a partire dal concetto di concorrenza leale. L’idea stessa dell’Occidente, campione di libertà, è crollata sotto il peso di un mondo non più multilaterale – regolamentato e con pesi ben definiti – ma multipolare. Spezzettato e confuso attorno a due nuovi grandi poli: gli Stati Uniti e la Cina, ormai la vera, grande potenza industriale del mondo». Una revisione degli assetti che scrive una nuova geopolitica mondiale: «Il mondo ora è diviso in tre blocchi: il Nord globale, il Sud globale e l’Est globale, dominato da Cina, Russia, Nord Corea. In mezzo ci siamo noi europei, alle prese con tre grandi shock: l’aggressività di Putin, l’ascesa di Trump e la de-occidentalizzazione del mondo. Il futuro non è più trainato dall’Occidente. Siamo stati potenti, non lo siamo più. E sta emergendo un forte risentimento nei confronti di quell’oppressione coloniale che ha plasmato il mondo finora. In questo senso, Trump e Putin interpretano due facce dello stesso imperialismo del passato. Il vero elefante nella stanza è la Cina».
Borrell si è soffermato sul potere economico e la crescente influenza geopolitica cinese: «Il loro pil è passato dai 300 dollari pro capite del 1989 ai 13mila di oggi. Le esportazioni volano e il potere industriale è in costante crescita. Oggi la Cina produce un terzo della manifattura mondiale: più di Stati Uniti, Giappone, Germania e Corea del Sud messe insieme. Le loro spese militari per la difesa sono aumentate di trenta volte negli ultimi trent’anni e ora raggiungono la cifra record di 318miliardi di dollari, in continua crescita. Dominano lo spazio con centinaia di satelliti dual use in orbita e il mare con una flotta militare più grande di quella americana. Stanno iniziando a investire in energia pulita.
Il nostro vecchio alleato a Washington, invece, ci chiede di comprare petrolio, gas e armi».
Proprio sullo storico alleato statunitense Borrell ha molto da dire: «Con il progetto Maga, Trump ha gettato i nuovi pilastri Usa: smantellamento del sistema liberale americano; alleanze e transazioni con regimi illiberali; costruzione di una fortezza impenetrabile entro i propri confini, possibilmente ampliati verso le terre dei propri vicini e alleati. In tutto questo, l’indebitamento statunitense sta diventando un problema». Borrell lo dichiara senza mezzi termini: «Gli Usa non sono più i nostri amici. Siamo vissuti sotto l’ombrello statunitense per decenni, ma ora qualcosa è andato storto. Pensiamo solo alla presenza sul suolo europeo delle loro forze militari: in pochi anni i soldati statunitensi sono calati da 300 a 90mila. Molti ormai temono che la protezione degli europei non sia più per loro una priorità. E hanno ragione».
Per Borrell la capacità degli europei di difendersi nel caso di una vera guerra è minima: «La guerra è una prospettiva che abbiamo espulso dalla nostra capacità di immaginazione. Ecco perché non abbiamo un esercito comune. E siamo stati colti di sorpresa quando Trump ci ha imposto di raggiungere quota 5% nelle spese militari. Se non ci adeguiamo, Trump avrà buon gioco a sottrarsi all’impegno di difenderci. Una prospettiva che diventa ancora più drammatica se guardiamo al supporto all’Ucraina. Benché la narrazione sia stata di fatto governata da Trump, fin in dall’inizio l’Unione europea ha reagito al fianco degli ucraini, schierando armi e spendendo ben più degli Usa. La questione ora è trovare il modo di continuare a supportare Zelenksy o risolverci a dirgli di arrendersi. Perché questa è una guerra dai costi enormi, in termini di vite, non solo di risorse. Con il bombardamento di Kiev, la storia ha voltato pagina. E, in un modo o nell’altro, la storia cambierà ancora».
Infine Borrell ha dedicato un riferimento forte e chiaro alla reazione spropositata di Israele nei confronti del popolo palestinese: «Stiamo assistendo a un crimine di guerra totale. Lo vediamo chiaramente anche nei telegiornali delle televisioni arabe. Ma in questa situazione noi europei ci muoviamo ancora troppo divisi. Alcuni sottolineano la drammatica situazione della popolazione palestinese, ma altri guardano invece alle colpe di Hamas. Abbiamo fatto dei passi avanti, ma è ancora troppo poco. Il riconoscimento dello stato palestinese porta sulle spalle il costo delle migliaia di persone uccise. Come europei ci illudiamo di fare i buoni samaritani, ma la nostra reazione si limita a sanzioni di soli 220milioni. Ci vuole ben altro per far preoccupare Netanyahu».
Una via di uscita però per Borrell esiste e va perseguita: «Non dobbiamo dimenticarci di quello che abbiamo attraversato pochi anni fa con la pandemia da Covid 19. Quella emergenza ci ha dimostrato che, uniti, noi europei sappiamo affrontare minacce importanti. Allora ce l’abbiamo fatta, dando vita a alleanze e programmi comuni che hanno dato frutti. Ora, di nuovo insieme, dobbiamo superare la nostra dipendenza dagli Stati Uniti e lavorare per costruire la nostra capacità di difesa comune. Altrimenti l'UE è destinata a diventare un museo di storia».
Le Targetti Lectures della Scuola di Studi Internazionali
L’intervento di Borrell, che si è tenuto oggi nella Sala Conferenze Alberto Silvestri del Palazzo di Economia, è stato introdotto dalle parole del direttore Stefano Schiavo, che ha ricordato la figura di Ferdinando Targetti, tra i fondatori e primo direttore della SSI, alla cui memoria sono dedicate le Targetti Lectures: lezioni di alto profilo di politica internazionale con ospiti di rilievo, che segnano l’apertura delle attività accademiche della Scuola.
In occasione della Targetti Lectures con Josep Borrell è stato conferito alla professoressa Anna Casaglia il Distinguished Teacher Award, riconoscimento per l’attività didattica conferito dalla Scuola «per la sua straordinaria dedizione all’insegnamento, il suo approccio coinvolgente e innovativo in aula e il suo significativo contributo all’esperienza universitaria per studenti e studentesse».