Trento - Sono passati poco meno di due mesi dal cosiddetto
"Liberation Day" americano, con l'annuncio dei dazi da parte del presidente Donald Trump. Cosa è cambiato e cosa sta cambiando? E quale il ruolo dell'Europa, continente in realtà da sempre protezionista? Ne hanno discusso, in una tavola rotonda durante la prima giornata del XX Festival dell'Economia di Trento, Fulvio Giorgi (amministratore delegato di IMQ),
Paolo Gualtieri (Università Cattolica del Sacro Cuore), Pier
Maria Saccani (Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP),
Yang Yao (China Center for Economic Research) e
Andrea Zoppini (dell’Università degli studi di Roma Tre), moderati dal giornalista del Sole 24 Ore Alberto Grassani (
nella foto Alessandro Eccel archivio Ufficio Stampa Pat).

Nell'ottica di rilanciare la crescita statunitense, i dazi si configurano come una misura giusta? "I dazi sono la risposta sbagliata a problemi reali - ha spiegato Gualtieri -. Ricordiamoci che il cambiamento delle catene produttive ha sempre generato grandi disuguaglianze economiche, territoriali e generazionali. E con questo, soggetti perdenti.
Per comunicare loro che era arrivato qualcuno per proteggerli, Trump ha annunciato i dazi con aggressività e platealità tali da minare la fiducia tra gli Stati, ponendo le peggiori basi per un dialogo".
Per il professor Yao invece la mossa protezionista di Trump aveva un altro scopo: "L'obiettivo del presidente americano era quello di spingere i Paesi a sedersi attorno ad un tavolo. Serve dunque lavorare per uno scambio a somma positiva, non a somma zero. E sono convinto che USA e Cina siano Paesi troppo grandi per eliminare gli accordi bilaterali. Riuscire ad abbassare i dazi vorrebbe dire andare nella direzione di un mercato più libero".
Gli economisti tuttavia hanno spostato anche l'attenzione su quello che è l'impianto normativo europeo, il cui approccio verso gli altri Paesi è fortemente protezionista: "Esistono dazi non-tariffari e alle volte sono anche asimmetrici - ha aggiunto Giorgi. - Appesantimenti burocratici, procedure doganali complicate e controlli aggiuntivi. L'Europa, in questo senso, ha un quadro regolatorio complesso, una sorta di iper-regolamentazione. E questo nonostante l'obiettivo della certificazione dei prodotti dovrebbe essere quello di favorire la libera circolazione delle merci".
Sull'impianto normativo europeo si è soffermato anche Saccani: "Serve una riflessione critica su ciò che è l'Europa oggi, ovvero una realtà economica molto chiusa. L'obiettivo è quello di controllare in modo efficiente ciò che viene immesso sul mercato, ma portare un prodotto in Europa oggi è molto complesso. Dobbiamo tuttavia ricordarci che gli Stati Uniti sono il principale mercato al mondo e di cui nessuno oggi può fare a meno".
Sul protezionismo europeo si è soffermato anche Zoppini: "Molte delle regole vigenti in Europa sono state concepite in un periodo storico in cui, per ogni Paese membro, il mercato di riferimento era proprio quello europeo. Oggi però questi modelli sono superati, soprattutto per un continente come il nostro che importa tanto dal Sud Est asiatico ed esporta verso gli Stati Uniti".