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Pari opportunità tra donna e uomo e lingua di genere

In risposta alla coraggiosa decisione dell’università di Trento di declinare al femminile il regolamento di ateneo, si è scatenato un confronto spesso aggressivo sul tema della lingua di genere, sia a livello trentino, sia nazionale.
La CPO si occupa di educazione linguistica da decenni, ben consapevole dell’importanza determinante dell’uso adeguato della lingua nelle situazioni istituzionali, in primis, e comuni.
Il punto decisivo della discussione è legato ad alcune credenze comunicative, che in linguistica sono facilmente smontabili. La lingua fotografa la realtà e si trasforma, è una delle sue caratteristiche fondanti, e quindi si adegua alle esigenze della comunità linguistica. Le abitudini linguistiche si modificano attraverso l’uso ed ogni parlante lo fa quotidianamente. Dovrebbe far pensare che le levate di scudi arrivino solo quando si parla di uso del femminile.

La presenza delle donne nelle istituzioni e nelle professioni, sempre più frequente anche ai vertici, ha bisogno di essere nominata.
In tal modo l’uso diventa normalità, e la forma femminile non “suonerà più male”. Il “si è sempre fatto così” non regge, dal punto di vista della linguistica.
Non vale nemmeno la motivazione che il ruolo sia neutro. Come tutte le parole, anche il ruolo, professionale o politico, viene declinato a seconda della persona che lo impersona.
Inoltre, la lingua è strumento di pensiero e attraverso la lingua si struttura la visione del mondo. Per questo motivo “non c’è ben altro”. Una denominazione corretta, sotto il profilo grammaticale, è il punto di partenza per costruire una visione del mondo paritaria, in cui una donna venga nominata come assessora, sindaca, consigliera, comunicando in modo corretto la sua identità.
La cultura della parità, e dei diritti alla parità, passa in primo luogo dalla lingua e dal suo uso.

Ultimo aggiornamento: 02/04/2024 23:22:10
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