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Messaggio del vescovo Tisi: "Ritroviamo la gioia di essere comunità"

In occasione della solennità di Tutti i Santi ha ricordato che "La vita viene prima delle idee"

TRENTO - "La vita viene prima delle idee: ritroviamo la gioia di essere comunità", per la solennità di Tutti i Santi, l’arcivescovo Lauro Tisi ha presieduto la Santa Messa al cimitero di Trento.

Nell’omelia monsignor Tisi lancia un forte appello a riscoprire la gioia di sentirsi comunità, contro una cultura segnata dall’individualismo e dall’isolamento. “Abbiamo perso lo scudo della comunità - ricorda il vescovo - e siamo diventati monadi che si barcamenano per superare la giornata.” “Anche nella Chiesa – aggiunge don Lauro – il noi ecclesiale non pare arrecare gioia: prevale una ricerca solitaria di Dio. L’invocazione Padre nostro diventa spesso Padre mio.”

Nel giorno del suo 63° compleanno, Tisi sottolinea come la festa di Tutti i Santi rappresenti un’occasione per “respirare la forza dirompente del camminare insieme” e per ritrovare “la bellezza di vivere con gli altri”. Il dolore per chi non c’è più, afferma, “dice più di ogni altro dato che il legame con l’altro è l’elemento decisivo della vita, al di là del nostro credere o meno. La vita viene sempre prima delle idee.

Richiamando il Vangelo delle Beatitudini, l’Arcivescovo indica in esse la via concreta per costruire comunità: “Non si tratta di formule o norme etiche, ma di percorrere la via verso un’umanità con i connotati di Dio, toccabili nell’umanità di Gesù: nella povertà condivisa, nella giustizia, nella misericordia senza limiti.” “Chiediamo il dono di scomparire per far comparire l’altro – conclude l’Arcivescovo. Da questa gioia nasce la mitezza, la pace, l’amore più forte della morte.

OMELIA DI MONSIGNOR TISI
"Nei giorni scorsi, un giornale locale riportava un’interessante osservazione circa il momento storico che stiamo vivendo: “Perso lo scudo della comunità, siamo diventati – era scritto – come monadi che si barcamenano per superare la giornata.” Con un simile clima, risulta difficile accogliere l’invito dell’odierna liturgia a gioire per la possibilità di celebrare in un’unica festa collettiva la memoria di tutti i santi.
Anche nella Chiesa e nelle nostre comunità la dimensione dell’essere insieme non sembra scaldare il cuore. Il “noi” ecclesiale non pare arrecare gioia: prevale una ricerca dell’incontro con Dio solitaria, individuale.

L’invocazione “Padre Nostro” non raramente diviene “Padre mio”. Senza accorgercene stiamo smarrendo la bellezza di essere comunità, la gioia di vivere con gli altri.
La solennità di Tutti i Santi, nella memoria viva di chi ci ha lasciato, può essere una provvidenziale occasione per respirare la forza dirompente del camminare insieme.
Il gusto del sentirsi comunità è legato a filo doppio alla scoperta dell’altro come gioia e chance. Finché l’altro è competitor o addirittura il tuo avversario, è difficile immaginare comunità.
Nulla può scalfire il ricordo struggente e addolorato dei volti amati, spesso prematuramente scomparsi dai nostri occhi: un figlio o una figlia, un amico, il proprio padre o la propria madre. Quel dolore dice, più di ogni altro dato, che il legame con l’altro è l’elemento decisivo e costitutivo della vita, al di là del nostro credere o meno. Mi permetto di annotare: la vita viene sempre prima delle idee.
Questo dolore che non s’acquieta porta a varcare il guado della morte nel desiderio di non lasciar svanire il volto di chi ti ha amato.
Per ritrovare la passione per la comunità siamo invitati a contemplare lo sguardo di Cristo, in cui abita il sogno di Dio sul mondo e sul creato. Questo sguardo non è immaginazione ma ha la concretezza delle Beatitudini proposte dal testo evangelico. Non si tratta di formule, di norme etiche, ma di percorrere la via verso un'umanità con i connotati di Dio, toccabili nell'umanità di Gesù.
Nel suo ministero itinerante lo vediamo condividere la povertà, chinarsi pieno di tenerezza sul volto degli ammalati, scoppiare in lacrime, battersi per la giustizia, disarmando con semplici parole chi voleva lapidare una donna; usare misericordia senza limiti con chi conosce il peso dei propri sbagli; portare pace nei conflitti, a cominciare dalla sua comunità dove i discepoli litigano per sapere chi sia il più grande.
Possiamo ricostruire comunità solo con uomini e donne abitati dalla vita dell'Uomo delle Beatitudini. Ce lo ricordava Papa Leone al Giubileo delle équipe sinodali nei giorni scorsi. Alla domanda “Come può un processo sinodale ispirarci?” l’ho sentito rispondere semplicemente: “Poche volte mi sono sentito ispirare da un processo, ma mi sono sentito ispirare da persone che vivono con entusiasmo la fede”.
Chiediamo il dono di sentire, come ci indica la prima Beatitudine, la gioia di scomparire per far comparire l'altro. Da questa gioia scaturisce la capacità di non permettere alle lacrime e al dolore di avere l'ultima parola. La gioia della mitezza che si fa parola disarmata e disarmante, esultando per il bene dell'altro. La passione per la giustizia. Un cuore libero da secondi fini, premessa all’esperienza della pace. L'amore, più forte della morte".
Ultimo aggiornamento: 01/11/2025 18:20:01
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