TRENTO - Un tempo, prima di dedicarsi al volley, voleva fare il professore di filosofia. Così non è andata, per la gioia dei tifosi azzurri e per il bene del volley italiano. Ma Julio Velasco, allenatore della Nazionale italiana femminile Campione del Mondo, la filosofia l’ha comunque portata in campo, negli spogliatoi, nelle relazioni con le giocatrici e i giocatori, nell’affrontare le paure, la pressione, le vittorie e le sconfitte. All’Auditorium Santa Chiara, sul palco del
Festival dello Sport di Trento, l’
“Imperatore Julio” (come ha già titolato la Gazzetta) ha trasmesso al pubblico la sua ricetta per allenare.
Un mix che funziona, guardando al lunghissimo palmarès, che dopo i successi con Modena e con la Nazionale maschile si è ampliato con le vittorie alla guida della Nazionale femminile: due Nations League, uno storico oro olimpico a Parigi (il primo della storia della pallavolo italiana) e, naturalmente, il Mondiale in Thailandia. Velasco è l’allenatore più vincente della storia della pallavolo italiana
(Julio Velasco foto credit Michele Lotti archivio Pat).

Ciononostante, il titolo dell’evento, “
Le invincibili”, non gli è proprio piaciuto, spingendolo a gesti scaramantici. “Quando l’ho visto ho toccato di tutto”, ha detto a Gianni Valenti, vicedirettore vicario della Gazzetta dello Sport e a Rachele Sangiuliano, che hanno dialogato con Velasco nel gran finale del Festival.
“L’obbligo di vincere – ha racontato – è la cosa più difficile per una squadra o per un’atleta. Noi cercheremo di restare ad alto livello, ma dobbiamo ricordare che a ogni Campionato tutti partiamo da zero punti.” “Le giocatrici – ha aggiunto – devono essere autonome e autorevoli; non mi piace quando l’allenatore si mette vicino alla riga.
Preferisco vedere la squadra in grado di cavarsela da sola.” “Quando si vince – ha aggiunto Velasco – l’ultima palla della partita è un momento di emozione pura, non ci sono ragionamenti, è gioia. Dopo la doccia, però, c’è un momento di depressione. Il giorno dopo si comincia a essere più consapevoli.”
Ma non si può sempre essere al top. “A tutte le squadre dico che bisogna saper anche giocare male, tenendo duro ed evitando che gli avversari prendano il controllo della partita.”
È il gruppo che fa la squadra unita o viceversa? “Non basta essere un gruppo unito per vincere. Il gruppo aiuta a rendere tutto più facile, ma ciò che consente di superare gli interessi individuali è il grande obiettivo che la squadra ha, superando anche eventuali antipatie interne. Non bisogna per forza fare sempre gruppo, i caratteri sono diversi e bisogna dare il giusto spazio a ogni cosa.” “Una Nazionale – ha aggiunto Velasco – non sono i migliori giocatori; sono i migliori per svolgere un determinato ruolo. A volte conviene avere una giocatrice meno brava ma che è contentissima di stare in panchina.”
Al centro, comunque, c’è sempre la relazione. “Mi piace trasmettere qualcosa insegnando a giocare, a prepararsi. Se un allenatore sa molte cose ma non le sa trasmettere, non può fare l’allenatore.” E il riscontro, positivo, c’è stato proprio al Festival, nei video saluti delle azzurre. Hanno raccontato un Velasco che sa dare fiducia, che spiega l’importanza di non auto-punirsi per uno sbaglio, che spinge a vincere la paura. “Ma la paura più grande l’hanno i tifosi – ha spiegato Velasco – perché non possono fare niente, possono solo sperare che le cose vadano bene. Noi invece come allenatori dobbiamo controllarci molto, perché la squadra capisce cosa proviamo.”
Ma cos’è lo sport? “È emozione”, ha detto Velasco, “non è ragionamento o calcolo. Ci sono due grandi spettacoli nel mondo moderno: lo sport e la musica. Niente raduna così tanta gente come queste due cose”.