Brescia - È uscita in questi giorni una nuova edizione ampliata e arricchita del libro di Anselmo Palini su don Pierluigi Murgioni. Verrà presentato mercoledì 6 novembre ore 18 presso la libreria Paoline di Brescia.
Il Concilio Vaticano II e la Conferenza di Medellin, la teologia della liberazione e le comunità di base, la scelta dei poveri e la denuncia delle ingiustizie strutturali, la testimonianza evangelica e la persecuzione: tutto questo troviamo nella vicenda di Pierluigi Murgioni. Arrestato e sottoposto a inaudite torture, venne richiuso in carcere per oltre cinque anni per la sola colpa di avere proposto con la parola e con l’esempio il messaggio evangelico di pace e di giustizia. Nonostante i terribili anni trascorsi in prigionia, don Murgioni tornò in Italia ancora più convinto del fatto che la strada del Vangelo e della nonviolenza era quella da percorrere. E prima di morire, a soli cinquantun anni, ci ha lasciato come regalo la traduzione in italiano del Diario di Oscar Romero.
In questa nuova edizione ampliata e arricchita del libro di Anselmo Palini vengono pubblicate diverse lettere inedite di don Pierluigi Murgioni, indirizzate al Vescovo di Brescia, mons. Luigi Morstabilini, o ai propri cari. Si tratta di lettere ritrovate solo recentemente nei documenti in possesso dei familiari e non presenti pertanto nelle varie ristampe del libro finora uscite. Sono testi particolarmente significativi in quanto permettono di conoscere più a fondo i motivi per i quali don Pierluigi verrà arrestato e di apprezzare la coerenza delle sue scelte in linea con l’annuncio evangelico.
Vengono proposte anche alcune lettere del carteggio, finora riservato, fra la Nunziatura in Uruguay, la Santa Sede (in particolare la Segreteria di Stato e il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa) e il Vescovo di Brescia. Ciò è possibile grazie a nuovi documenti messi a disposizione sempre dai familiari e ad una specifica autorizzazione ottenuta dalla Curia di Brescia. Da questo carteggio risulta come nei Dicasteri vaticani e nella Segreteria di Stato vi fosse grande difficoltà a comprendere l’azione per la giustizia e per la promozione umana messa in atto in America latina da sacerdoti, laici e vescovi. L’accusa spesso rivolta loro era quella di fare politica.
Ciò derivava anche dalle relazioni dei Nunzi, che, preoccupati di mantenere rapporti cordiali con il potere politico, spesso non comprendevano le motivazioni evangeliche alla base dell’azione dei sacerdoti e dei fedeli impegnati nella denuncia delle ingiustizie sociali e della repressione militare. Un simile trattamento verrà riservato, ad esempio, anche a mons. Oscar Romero, oggi santo, a mons. Enrique Angelelli, vescovo-martire argentino oggi beato, a dom Hélder Câmara, oggi unanimemente considerato un profeta, a mons. Juan Gerardi, vescovo-martire guatemalteco e ad altri ancora.
Grazie all’autorizzazione della Curia bresciana vengono pubblicate anche altre lettere inviate da monsignor Morstabilini al suo sacerdote in carcere in Uruguay, che testimoniano il vivo interessamento del vescovo, che si rivolse anche alla Farnesina, alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e alla Pontificia Commissione Iustitia et Pax per chiedere di intervenire in favore di don Murgioni. Da questi nuovi documenti emerge la vicinanza e la sollecitudine che il vescovo di Brescia, mons. Luigi Morstabilini, sempre manifestò nei confronti del proprio sacerdote in carcere in Uruguay, comprendendo pienamente le motivazioni di fede alla base della sua azione e delle sue scelte. E, accanto al vescovo, i suoi più stretti collaboratori e i sacerdoti diocesani, in particolare quanti operavano all’interno dell’Ufficio Missionario, in primis don Renato Monolo, che non mancarono anche di esprimere con determinazione il proprio disappunto per alcune osservazioni presenti nei documenti del Nunzio e della Segreteria di Stato Vaticana.
Dai testi che vengono ora pubblicati esce confermata l’assoluta statura morale e di fede di don Pierluigi Murgioni, che era animato unicamente dal desiderio di annunciare un Vangelo di pace e di giustizia in una realtà caratterizzata da gravissime disuguaglianze socioeconomiche e dalla presenza di una dittatura militare. Don Pierluigi si adoperò per la propria gente senza farsi frenare dalle possibili conseguenze che ciò poteva comportare per la sua persona. E anche in carcere la sua dirittura morale fu un riferimento per tutti gli altri detenuti, anche non credenti, che trovarono in lui sostegno e aiuto nei momenti di difficoltà e di scoraggiamento.