L’accusa è quella di aver fatto parte di un’associazione per delinquere il cui scopo era quello di commettere truffe per l’illecita percezione di contributi statali, il cosiddetto "bonus facciate”, utilizzando crediti fiscali fittizi che, una volta monetizzati, sarebbero stati riciclati nell’acquisizione di attività economiche sul lago di Garda. Il tutto, tra l’altro, aggravato dal carattere transnazionale, avendo gli indagati operato sia sul territorio nazionale che estero.
Questi i motivi che nelle prime ore di martedì hanno portato i finanzieri dei Comandi provinciali di Verona ed Agrigento, insieme ai carabinieri del Comando provinciale scaligero, ad eseguire l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Verona, su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di 10 individui, 3 dei quali condotti in carcere e 7 agli arresti domiciliari, mettendo i sigilli anche a conti correnti, autovetture, immobili nonché a una società, a un hotel, a due pasticcerie, a due ristoranti e ad un locale sul lungolago gardesano. L’autorità giudiziaria scaligera ha infatti anche disposto il sequestro preventivo ai fini della confisca di beni per un valore che ammonta a oltre 5 milioni di euro.
Indagini grazie alle quali le forze dell'ordine avrebbero portato alla luce un meccanismo illecito, che sarebbe stato sviluppato mediate numerose condotte fraudolente, ad opera di una compagine criminale che avrebbe creato ad arte i presupposti per la comunicazione all’Agenzia delle Entrate di oltre 17 milioni di euro di crediti d’imposta inesistenti in relazione ai “bonus facciate”.
Dagli accertamenti sarebbe emerso che all’origine delle catene di cessione dei crediti fittizi vi erano diverse decine di persone fisiche che risultavano aver dichiarato (nella maggioranza dei casi inconsapevolmente) di avere effettuato lavori di ristrutturazione edilizia delle facciate esterne (così acquisendo il diritto alla detrazione del relativo importo pari al 90% della spesa che avrebbero dovuto sostenere) e di aver poi comunicato di aver ceduto i relativi crediti a terzi. Successivamente le pratiche, per centinaia di migliaia di euro, sarebbero state trasmesse, per conto degli ignari titolari, ad opera di un commercialista residente nella provincia di Treviso, già d'accordo con gli altri membri del presunto sodalizio criminale. I crediti d’imposta così originati venivano ceduti a società e imprese individuali, che sarebbero tutte riconducibili agli indagati, direttamente o indirettamente, le quali a loro volta li avrebbero ceduti a Poste Italiane Spa (inconsapevole della frode e indotta in errore) per un importo complessivo pari a circa 5 milioni di euro monetizzandoli in denaro utilizzabile a tutti gli effetti.