al 14.03.)
Pazienti Covid-19 in isolamento nelle strutture di Colle Isarco: 17
Numero di pazienti Covid ricoverati in reparti di terapia intensiva: 4
Decessi complessivi (incluse le case di riposo): 1.432 (+2; 1M 70-79, 1M 80-89)
Persone in quarantena/isolamento domiciliare: 6.789
Persone che hanno concluso la quarantena e l'isolamento domiciliare: 292.868
Persone alle quali sinora sono state imposte misure di quarantena obbligatoria o isolamento: 299.657
Guariti totali: 192.200 (+524)
Intervista a Livia Borsoi, Vicedirettrice del Servizio aziendale di Igiene e Sanità pubblica (SISP), che traccia un “identikit” del nuovo vaccino a base proteica realizzato da Novavax, illustrandone peculiarità e vantaggi di utilizzo.
A partire dallo scorso 2 marzo, il Nuvaxovid, nuovo vaccino prodotto da Novavax – compagnia statunitense specializzata in biotecnologie – è disponibile in tutti gli hub vaccinali dell’Alto Adige. Al fine di fornire ai cittadini maggiori informazioni relative a questo ulteriore strumento a disposizione nella lotta al Covid, abbiamo interpellato la specialista Livia Borsoi, Vicedirettrice del Servizio aziendale di Igiene e Sanità pubblica, chiedendole di approfondire la tematica. La seguente intervista farà luce su tanti argomenti legati a questo vaccino dall’alta efficacia protettiva.
Dottoressa Borsoi, quali sono le caratteristiche principali del Nuvaxovid?
«La tecnologia utilizzata per la realizzazione del Nuvaxovid è molto convenzionale poiché è utilizzata da tempo anche per altri vaccini come quelli contro l’HPV (Papilloma Virus, ndr) o l’Epatite B. Quello prodotto da Novavax è un vaccino basato sulla proteina spike, che è la caratteristica protuberanza presente sulla superficie esterna del coronavirus. La proteina viene introdotta nell’organismo che, in risposta, produce gli anticorpi. Il vaccino non funzionerebbe se non ci fosse un adiuvante, il Matrix-M. Si tratta della saponina, una sostanza naturale, che ha la funzione di far individuare al nostro corpo la proteina spike prima che venga eliminata».
Qual è la sua efficacia da studi clinici?
«Negli studi di autorizzazione precedenti all’immissione in commercio, svolti in parte negli Usa e in parte in Messico su un gruppo di circa 30mila persone – al quale va sommato un altro cluster composto da 15mila individui a cui è stato somministrato un placebo –, è stata riscontrata un’efficacia protettiva del 90% a seguito della seconda dose».
Come si fa a stabilire la correttezza dei dati a disposizione sull’efficacia di un vaccino e chi si occupa di controllarli?
«I vaccini sono sottoposti ad una fase di sperimentazione prima dell’immissione in commercio. In questa fase, è la ditta produttrice ad essere responsabile per la qualità e la correttezza dei dati trasmessi. Gli studi clinici vengono solitamente affidati alle università o altri enti altamente accreditati. Ad ogni modo, i controlli non terminano in questa fase. Infatti, anche quando il vaccino viene commercializzato, gli studi vanno avanti e, oltre a riguardare la sua sicurezza con le segnalazioni di eventuali effetti collaterali, se ne monitora l’efficacia in correlazione alle varianti del coronavirus in circolazione».
In cosa comparerebbe il Nuvaxovid con i vaccini a mRNA come Pfizer o Moderna?
«Dal punto di vista della protezione sono tutti comparabili. Una differenza è che il Nuvaxovid è più facile da maneggiare. A flaconcino chiuso, si conserva in frigo per nove mesi. A temperatura ambiente, invece, fino alle 12 ore. Aperto è impiegabile per 6 ore. In definitiva, è più semplice da gestire e trasportarlo. Di conseguenza, questo limita anche il rischio di sprechi».
Eppure, i numeri sui nuovi vaccinati con il Nuvaxovid non sono incoraggianti… come se lo spiega?
«In parte è dovuto al fatto che tante persone hanno contratto il Covid e quindi non nutrano più lo stesso timore di prima verso l’infezione. Cosa che è sbagliata perché, anche se magari ci si è ammalati in forma leggera, è difficile prevedere le evoluzioni future del virus ed esporsi a un potenziale pericolo non è mai consigliabile. Le informazioni in nostro possesso parlano chiaro: le persone non vaccinate vanno incontro a un rischio molto più alto di finire in terapia intensiva rispetto ai vaccinati».
È possibile che in futuro il Nuvaxovid venga utilizzato anche sui minorenni, in particolare nella fascia 5-11 anni?
«Gli studi in tal senso sono in corso. Si può presupporre che in 7-8 mesi sarà approvato anche per questa fascia d’età. Ci vorrà ancora un po’ di tempo perché c’è un discorso relativo ai dosaggi, che sono ancora da stabilire. Un po’ come è già successo per il Pfizer, il cui quantitativo previsto per i bambini è circa un terzo rispetto agli adulti».
Un tasso di vaccinazione vicino al 79% come quello che attualmente si registra in Alto Adige è sufficiente per dire che siamo “fuori pericolo”?
«Chi si vaccina è protetto da un’infezione sistemica generale. Più la percentuale dei vaccinati è alta e più si riduce la circolazione del Covid, questo è certo, ma arrestarla del tutto sarebbe impossibile anche se avessimo il 100% dei vaccinati. Il famoso concetto della cosiddetta “immunità di gregge”, dunque, viene meno se si tiene presente la capacità del coronavirus di mutare: siamo di fronte a un fenomeno non statico ma molto fluttuante. Quello che sappiamo di certo dai dati in nostro possesso è che i vaccinati rimangono positivi per meno tempo e anche la loro capacità di trasmettere il virus è minore».