Il provento dei reati tributari era stato a suo tempo “monetizzato”, ovvero trasformato in denaro contante, fisicamente trasferito in Svizzera e ivi depositato;
- in un secondo momento, il denaro era stato intestato al suocero prestanome, al fine di scongiurare la riconducibilità dello stesso al titolare effettivo;
- quale successivo passaggio, era stata creata una Fondazione fittizia con sede a Vaduz, in Liechtenstein, cui trasferire ulteriormente i proventi illeciti;
- dalla Fondazione il denaro era stato trasferito, da ultimo, ad una polizza vita di diritto bermudiano.
In sintesi, il denaro generato indebitamente nel bresciano attraverso numerosi reati tributari, era stato trasferito con una serie di passaggi - coinvolgendo, a vario titolo, Paesi esteri ossia la Svizzera, il Liechtenstein, e le Isole Bermuda, territorio d’oltremare britannico - al fine di ostacolare la ricostruzione della provenienza illecita.
Il 24 settembre 2015 l’operaio in pensione aveva presentato all’Agenzia delle Entrate istanza di accesso alla voluntary disclosure, normativa che consentiva ai contribuenti, detentori di attività finanziarie e patrimoni all’estero, di sanare la loro posizione amministrativa e penale con l’Erario. L’operaio bresciano procedeva così allo smobilizzo della polizza bermudiana, trasferendo il denaro sui propri conti correnti italiani.
Da qui comincia l’indagine delle Fiamme Gialle. I Finanzieri hanno approfondito il profilo reddituale e patrimoniale del soggetto e del suo nucleo familiare, rivelatosi totalmente incompatibile con le operazioni di rimpatrio effettuate sui capitali esteri, in quanto l’ex operaio risultava percepire una pensione da 1000 euro, essere
proprietario di un’utilitaria di modico valore, di un appartamento di classe economica ed avere un basso tenore di vita.
Gli investigatori, pertanto, al fine di capire la provenienza dei capitali oggetto di rimpatrio, hanno avviato un’analisi dei flussi finanziari riconducili al soggetto, anche attraverso la collaborazione internazionale, in particolare con le Autorità elvetiche, risalendo fino alla reale origine dei fondi oggetto di voluntary disclosure.
Si è, dunque, scoperto, come accennato in precedenza, che questi 4 milioni di euro erano il “bottino” di un’associazione per delinquere dedita alle frodi fiscali. Tale tipo di reato - per la sua gravità - non rientra nella “copertura” penale garantita dalla legge.
Pertanto, il rimpatrio si è rivelato un boomerang per il contribuente: da un lato, l’evasore pensava di “sistemare” definitivamente tale provvista di denaro sfruttando la normativa sul rimpatrio dei capitali, dall’altro lato, la normativa medesima non garantiva alcuna copertura nel caso di specie.
Insomma, una vera e propria disclosure rivelatasi “sbagliata” (wrong) per il contribuente, da qui il nome dell’operazione. Al termine delle indagini, le Fiamme Gialle bresciane hanno proceduto al sequestro per equivalente per un valore di oltre 4 milioni di euro, di liquidità, strumenti finanziari, polizze e beni immobili riconducibili all’indagato quale provento dei reati contestati.