La mia esperienza mi ha insegnato che l’appoggio di una figura professionale specializzata può fare la differenza per consentire alle donne ed alle famiglie di trovare un aiuto immediato senza il quale si rischia di impiegare mesi, se non anni, a rimettere insieme i pezzi della propria vita".
Negli orari di apertura del servizio, in collaborazione con il personale sanitario, i genitori e le famiglie dei piccoli pazienti ricoverati potranno essere ricevuti in colloqui individuali di supporto e sostegno psicologico qualora si trovino in condizioni di disagio o difficoltà emotiva per motivi legati alla malattia o condizione patologica del figlio o al lutto.
“Un bambino su 10 nasce prematuro - sottolinea il dottor Paolo Villani, primario dell’Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale in Fondazione Poliambulanza - nel 2018 in Poliambulanza sono nati circa 2.800 bambini, dei quali quasi 300 prematuri. La elevata tecnologia e le competenze sempre più qualificate dei nostri medici oggi permettono di far nascere bambini dalla 23° settimana, con lunghi ricoveri da parte della madre e del piccolo o piccola. La lunga degenza è fonte di grande stress e preoccupazione per i genitori, pertanto un sostegno psicologico durante la loro permanenza è di fondamentale importanza per il loro benessere psicofisico”.
Le famiglie coinvolte, se lo desiderano, dopo la dimissione del figlio potranno continuare nel Consultorio CIDAF il percorso psicologico intrapreso in reparto, in modo da vedersi garantita continuità assistenziale coerente con la mission di accoglienza di Fondazione Poliambulanza.
Si tratta, per il momento, di un progetto pilota ma se le valutazioni intermedie e il bilancio al termine dell’anno di sperimentazione saranno positivi in termini di efficacia e rispondenza alle necessità delle famiglie dei pazienti, la donatrice ha manifestato la disponibilità a rinnovare la liberalità per ulteriori sei mesi, previo impegno di Fondazione Poliambulanza ad istituzionalizzare il servizio.
L'INTERVENTO DI DILETTA
"Fin da piccola ho sempre desiderato fare qualcosa per gli altri, ma prima non avevo mai trovato il momento e il modo per attivare il processo. Poi nella vita accadono delle cose che ti fanno rendere conto che tutto è appeso a un filo. Allora cambiano le priorità. E’ quello che è successo a me. Adesso quello che sento giusto e che mi fa stare bene lo faccio".
Diletta è una giovane donna, sposata, impegnata con soddisfazione nel suo lavoro di imprenditrice. Una vita normale la sua, divisa tra professione e famiglia, nella quale la solidarietà era rimasta un bisogno inespresso e irrealizzato. Poi, nel giro di poco, il cambiamento, con la necessità divenuta urgenza di scendere in campo in prima persona per fare qualcosa per chi soffre. Purtroppo la strada che le è stata riservata per questo avvicinamento al mondo della filantropia è quella più dolorosa, quella che passa da una tragedia personale e ti impone di riconsiderare ciò che è davvero importante.
“Il mio Giovannino non c’è più, è vissuto solo sei giorni. Ma non lo si può dimenticare, dovevo fare qualcosa per ricordare il mio piccolino, racconta ancora Diletta. Parlando con mio papà ci siamo chiesti cosa fare. Creiamo un’associazione? Una fondazione? Da principio abbiamo pensato al Nepal e alla possibilità di costruire là un asilo per i bambini. Ma un conto è immaginarlo, un altro farlo. Non avevamo l’esperienza, le conoscenze, la competenza, la formazione per muoverci. Ma abbiamo continuato a informarci ed a cercare, fino a che un giorno un amico commercialista ci ha parlato di Fondazione Comunità Bresciana… per me è stata la quadratura del cerchio!”
Diletta ora è una donatrice: all’interno di Fondazione Comunità Bresciana ha istituito il Fondo Giovannino, uno strumento grazie al quale verrà ricordato il suo bambino e allo stesso tempo sarà possibile aiutarne tanti altri insieme alle loro famiglie. Ha ripreso la sua vita di sempre, anche se il cammino verso il recupero della serenità è complesso, ma il desiderio di fare qualcosa per gli altri ora non è più un sogno, bensì una realtà irrinunciabile.
Il primo progetto sostenuto da Diletta è già partito in favore della Terapia Intensiva Neonatale di Poliambulanza. Un modo per alleviare il dolore personale aiutando chi si trova a vivere lo stesso calvario. Ma altri progetti sono alle porte, non legati ad ospedali né ad ambienti medici.
Determinante per Diletta è stato incontrare Fondazione della Comunità Bresciana, lo strumento, racconta, che le ha permesso di entrare nel mondo della solidarietà concreta in modo pratico e conciliabile con la sua vita, decidendo via via il livello di coinvolgimento per il quale si sentiva pronta.
“Perché, spiega sempre Diletta, quello della filantropia è un mondo complicato, forse perché è così l’Italia di oggi dove la burocrazia e le carte rischiano di soffocare tutto. Trasformare le idee in risultati, se non sai come fare, è difficile. Per contro qui in Fondazione Comunità Bresciana ho conosciuto persone che mi hanno accolto con calore umano e grande sensibilità, guidandomi con concretezza e competenza. La mia esperienza è solo positiva.”
“Molti pensano che bisogna essere ricchi per fare solidarietà, ma non è vero. Basta poco. Il mio poco, unito al tuo, ed a quello di altri diventa tanto. E così si cambiano davvero le cose. Quando mi guardo intorno e vedo aggressività, cattiveria, intolleranza, brama di guadagno spropositato e perfezione modello instagram che stanno prendendo sempre più piede mi si stringe il cuore. Io credo invece che ci si debba impegnare per un mondo migliore, un mondo più umano. E’ un dovere morale. E’ giusto, e voglio farlo".