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Mostra micologica a Ceto e conferenza dell'esperto Dogali: i funghi di settembre

Ceto - Mostra micologica e al museo didattico di Nadro di Ceto (Brescia) conferenza dedicata alla scoperta dei funghi commestibili della Valle Camonica a cura di Dario Dogali, esperto micologo, appassionato da una vita al mondo naturale, ricercatore e raccoglitore esperto con numerose pubblicazioni. Il programma di domenica 18 settembre prevede alle 15 la conferenza di Dario Dogali a ingresso libero, alle 17 apericena e approfondimento conviviale (su prenotazione, costo 15 euro, info e prenotazioni riservaincisioni@gmail.com e 0364.433465).


Intanto prosegue il racconto dei funghi da parte di Dario Dogali (nella foto), originario di Pian Camuno (Brescia) tra i massimi esperti di funghi in Valle Camonica, Franciacorta, provincia di Brescia e Lombardia. Dario Dogali è socio del circolo micologico “G. Carini” di Brescia, partecipa attivamente organizzando mostre micologiche. Ha scritto quattro libri dedicati ai funghi.


di Dario Dogali


"Questo mese, insieme a ottobre, è quello dove solitamente risulta più copiosa la fruttificazione delle diverse specie fungine; spero sia così e che ciò ripaghi le nostre aspettative. E' doveroso ricordare (anche se può sembrare una banalità) che in natura non nascono solo funghi commestibili, ma purtroppo anche funghi non commestibili, tossici e tossici-mortali e ciò mi fa tornare alla mente alcuni titoli di giornali del 6 dicembre 2019 che dicevano…intossicazione da funghi: tra gli imputati il chiodino o, si avvicina anche l’ora del chiodino…pertanto, nel dubbio di ciò che si ha raccolto, rivolgersi sempre agli Ispettorati Micologici presenti sul territorio.


Ad oggi, e siamo quasi alla prima decade del mese, le notizie che arrivano da più fonti danno una crescita (porcini in particolare) promettente anche se in modo alquanto anomalo cioè, in alcune località raccolte abbondanti (e non mancano notizie di sanzioni e sequestri di funghi porcini che superano le quantità giornaliere ammesse dai regolamenti regionali) mentre in altre località la crescita è quasi assente.


Ma torniamo ai funghi della nostra Valle e, come vi avevo anticipato lo scorso mese, oggi vi parlerò di quattro specie; tre sono conosciute nella terminologia dialettale come “Mazze da tamburo”; le prime due sono piuttosto comuni nel nostro territorio mentre la terza (per fortuna) lo è meno. Queste sono: Macrolepiota procera, Macrolepiota rachodes e Macrolepiota venenata. La quarta specie, l’Armillaria ostoyae, fa parte dei cosiddetti “chiodini”, è di crescita abbondante nelle abetaie della nostra Valle ed è intensamente ricercata e raccolta.


Macrolepiota procera (Scop. : Fries) Singer
Nome italiano: Mazza da tamburo
Nome dialettale: Gambe longhe – Mase dè tamburo
Scheda descrittiva:
Cappello: 80-150 (200) mm, inizialmente ovoidale, subsferico, poi emisferico e infine aperto con umbone ottuso più o meno pronunciato; cuticola ornata da squamule irregolari, disposte concentricamente, colore da nocciola chiare a bruno-rossastre su fondo chiaro; margine eccedente, frangiato.
Lamelle: fitte, ventricose, irregolari, da bianche a crema-gialline, imbrunenti con la vecchiaia.
Gambo: 200-400 (500) x 10-20 mm, slanciato, cilindrico, fibroso, cavo, un poco attenuato in alto e con bulbo pronunciato alla base, decorato da numerose bande brunastre su colore di fondo crema; anello doppio, scorrevole sul gambo, fioccoso al margine, bianco sulla pagina superiore, brunastro su quella inferiore.
Carne: non molto consistente, fragile e tenera nel cappello, fibrosa nel gambo, bianca, con odore gradevole, fungino e sapore che ricorda quello delle nocciole.
Habitat: cresce sia in boschi di latifoglie che di conifere, nei prati, lungo i sentieri erbosi, sia gregaria che solitaria, dall’estate all’autunno, talora anche in primavera.
Commestibilità: commestibile.
Note: attenzione a non confonderla con le Macrolepiota a carne arrossante tra cui le due specie di seguito descritte, dalle quali differisce per il gambo caratteristicamente decorato da bande brunastre (da taluni definite a “pelle di serpente”) e per avere carne non arrossante (o solo lievemente nella var. permixta).


Macrolepiota rachodes (Vittadini) Singer
Nome italiano: Mazza da tamburo (come M. procera)
Nome dialettale: Gambe longhe – Mase dè tamburo (come M.

procera)


Scheda descrittiva:
Cappello: 80-150 (200) mm, carnoso, inizialmente ovoidale, poi conico-campanulato convesso e alla fine appianato; cuticola con grosse squamule, regolari, brunastre, che la percorrono dal margine fino alla zona discale che sovente si presenta lacerata, liscia, bruna-rossiccia.
Lamelle: fitte, regolari, ventricose, libere al gambo, bianche-crema, arrossanti in modo rapido allo sfregamento; filo fioccoso.
Gambo: 100-160 x 10-20 mm, cilindrico, cavo, liscio, un poco attenuato verso l’alto, ingrossato alla base che si presenta bulbosa, inizialmente bianco poi brunastro con la maturità, rossastro allo sfregamento e alla rottura; anello membranoso, mobile, consistente, bianco-grigiastro.
Carne: tenera, bianca, virante in modo rapido all’arancio al taglio e allo sfregamento, poi rosso-vinoso, con sapore di nocciola e odore di patata cruda.
Habitat: cresce in boschi di latifoglie e di conifere, nelle radure, in terreni ricchi di humus, sia gregaria che isolata, dall’estate all’autunno.
Commestibilità: tossica.
Note: è spesso confusa, da inesperti raccoglitori, con Macrolepiota procera, la classica “mazza da tamburo” (buon commestibile), dalla quale si distingue innanzitutto per la carne arrossante (come ben si vede dalla foto, segli esemplari sezionati) e il gambo liscio. Può essere confusa anche con M. venenata (specie al tari tossica) di seguito descritta.


Macrolepiota venenata (Vittadini) Singer
Nome italiano: (probabilmente) Mazza da tamburo (come M. procera)
Nome dialettale: (probabilmente) Gambe longhe – Mase dè tamburo (come M. procera)


Scheda descrittiva:
Cappello: 50-100 mm, inizialmente emisferico, poi piano convesso con largo umbone ottuso; cuticola beige-biancastra, presto dissociata in vistose e grossolane squamule più scure, sovente sovrapposte e distribuite in modo radiale, mentre la calotta resta unita; margine fibrilloso-lanuginoso.
Lamelle: libere, piuttosto fitte, larghe, biancastre.
Gambo: 70-150 x 10-20 mm, cilindraceo, sovente ricurvo, pieno, poi fistoloso, con evidente bulbo marginato o submarginato alla base, superficie biancastra, imbrunente alla manipolazione, fibrillosa-pruinosa; anello mobile, semplice.
Carne: biancastra, tenera nel cappello, fibrosa nel gambo, vira al rosso-brunastro al taglio e alla manipolazione, con odore debole, fungino e sapore mite.
Habitat: cresce spesso in gruppi, anche cespitosi, nei luoghi erbosi, ruderali, in estate-autunno.
Commestibilità: tossica.
Note: viene facilmente raccolta e confusa, da inesperti raccoglitori, con altre Macrolepiota di grossa taglia tra cui alcune commestibili (vedi M. procera) e altre al pari tossiche (vedi M. rachodes e la sua var. hortensis) tutte conosciute come “Mazze da tamburo”. Il grosso bulbo marginato, la carne arrossante, l’anello semplice e il caratteristico bulbo marginato basale, sono elementi distintivi importanti per la sua corretta identificazione. La sua tossicità provoca disturbi gastrici più o meno violenti.


Armillaria ostoyae (Romagnesi) Herink
Nome italiano: Chiodino
Nome dialettale: Ciodèl de montagna


Scheda descrittiva:
Cappello: 80-70 (110) mm, carnoso, inizialmente emisferico, poi convesso, infine appianato e anche debolmente depresso, talora con largo umbone; cuticola ornata da numerose squamule bruno-olivastre su colore di fondo ocraceo, più scure e fitte nella zona discale; margine sottile, involuto, poi progressivamente disteso, spesso con presenza di resti fioccosi del velo generale e ondulato e striato per un breve tratto, specialmente a maturità.
Lamelle: fitte, adnate, a volte più o meno decorrenti con dentino, intercalate da brevi lamellule, biancastre poi crema, con macchie brunastre, interamente brunastre a maturità.
Gambo: 50-120 x 10-20 mm, fibroso, tenace, pieno, poi farcito, cilindraceo, spesso incurvato alla base a causa della crescita fascicolata-cespitosa, a volte subbulboso, striato all’apice, bambagioso nella parte sottostante l’anello per la presenza di fioccosità bianche, brunastro e più o meno concolore al cappello nel restante, specialmente a maturità; anello fioccoso-membranoso, persistente, bianco, striato e brunastro al margine.
Carne: nel cappello è consistente nella zona discale, esigue e sottile verso il margine, soda e poi fibrosa nel gambo, biancastra, tendente al carnicino con la maturità, con odore gradevole fungino e sapore prima dolciastro poi debolmente amarognolo-resinoso, astringente.
Habitat: cresce abbondante e cespitosa su tronchi e radici anche interrate di conifere, in autunno.
Commestibilità: commestibile, ma tossico da crudo o mal cotto.
Note: specie tra le più ricercate, conosciuta come “chiodino” di montagna, è da sempre ritenuta commestibile; è purtroppo la causa di numerose intossicazioni annuali dovute al non corretto trattamento prima del suo utilizzo a scopo alimentare. In letteratura si segnalano altre 5 specie simili, anch’esse conosciute come “chiodini”, quali: Armillaria mellea, A. cepistipes, A. borealis, A. bulbosa, tutte di crescita presso ceppaie o legno interrato di svariate latifoglie; A. tabescens, è invece specie priva di anello e crescita preferenziale presso querce. Tranne quest’ultima tutte necessitano di una prebollitura in acqua bollente per almeno 10 minuti (senza coperchio) per eliminare le tossine termolabili e idrosolubili presenti nel fungo; l’acqua di cottura va poi logicamente eliminata e non più utilizzata per altri scopi. Si consiglia inoltre l’utilizzo di soggetti giovani che si riconoscono per i cappelli con lamelle biancastre, non brunastre, mentre, dei gambi va utilizzata la parte più tenera, quella più chiara, verso il cappello, eliminando la restante perché di solito fibrosa e poco digeribile; la cottura va poi completata per almeno altri 30 minuti.


Nel mese di ottobre l'attenzione sarà sul “chiodino”, dell’Armillaria mellea e della bulbosa, le due specie più comuni nel nostro territorio (reperibili presso ceppaie o residui legnosi interrati di latifoglie, sia nei boschi di montagna, di collina e di quelli golenali del fiume Oglio), tanto ambite e ricercate ma che purtroppo ogni anno sono la causa principale degli avvelenamenti registrati nella nostra provincia. Vi anticipo che sarà una pagina interessante dove, oltre alle due schede descrittive delle specie trattate, vi presenterò una locandina (che consiglio di ritagliare e conservare) dove viene spiegato il modo corretto di trattate questi funghi prima di consumarli.


Solo la conoscenza delle specie raccolte preserva da gravi rischi alla salute. Concludo con l’invito ad aderire al Circolo Micologico G. Carini di Brescia o al Circolo Micologico di Lovere - Sezione del Circolo Micologico G. Carini di Brescia".

Ultimo aggiornamento: 13/09/2022 05:47:33
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