procera)
Scheda descrittiva:
Cappello: 80-150 (200) mm, carnoso, inizialmente ovoidale, poi conico-campanulato convesso e alla fine appianato; cuticola con grosse squamule, regolari, brunastre, che la percorrono dal margine fino alla zona discale che sovente si presenta lacerata, liscia, bruna-rossiccia.
Lamelle: fitte, regolari, ventricose, libere al gambo, bianche-crema, arrossanti in modo rapido allo sfregamento; filo fioccoso.
Gambo: 100-160 x 10-20 mm, cilindrico, cavo, liscio, un poco attenuato verso l’alto, ingrossato alla base che si presenta bulbosa, inizialmente bianco poi brunastro con la maturità, rossastro allo sfregamento e alla rottura; anello membranoso, mobile, consistente, bianco-grigiastro.
Carne: tenera, bianca, virante in modo rapido all’arancio al taglio e allo sfregamento, poi rosso-vinoso, con sapore di nocciola e odore di patata cruda.
Habitat: cresce in boschi di latifoglie e di conifere, nelle radure, in terreni ricchi di humus, sia gregaria che isolata, dall’estate all’autunno.
Commestibilità: tossica.
Note: è spesso confusa, da inesperti raccoglitori, con Macrolepiota procera, la classica “mazza da tamburo” (buon commestibile), dalla quale si distingue innanzitutto per la carne arrossante (come ben si vede dalla foto, segli esemplari sezionati) e il gambo liscio. Può essere confusa anche con M. venenata (specie al tari tossica) di seguito descritta.
Macrolepiota venenata (Vittadini) Singer
Nome italiano: (probabilmente) Mazza da tamburo (come M. procera)
Nome dialettale: (probabilmente) Gambe longhe – Mase dè tamburo (come M. procera)
Scheda descrittiva:
Cappello: 50-100 mm, inizialmente emisferico, poi piano convesso con largo umbone ottuso; cuticola beige-biancastra, presto dissociata in vistose e grossolane squamule più scure, sovente sovrapposte e distribuite in modo radiale, mentre la calotta resta unita; margine fibrilloso-lanuginoso.
Lamelle: libere, piuttosto fitte, larghe, biancastre.
Gambo: 70-150 x 10-20 mm, cilindraceo, sovente ricurvo, pieno, poi fistoloso, con evidente bulbo marginato o submarginato alla base, superficie biancastra, imbrunente alla manipolazione, fibrillosa-pruinosa; anello mobile, semplice.
Carne: biancastra, tenera nel cappello, fibrosa nel gambo, vira al rosso-brunastro al taglio e alla manipolazione, con odore debole, fungino e sapore mite.
Habitat: cresce spesso in gruppi, anche cespitosi, nei luoghi erbosi, ruderali, in estate-autunno.
Commestibilità: tossica.
Note: viene facilmente raccolta e confusa, da inesperti raccoglitori, con altre Macrolepiota di grossa taglia tra cui alcune commestibili (vedi M. procera) e altre al pari tossiche (vedi M. rachodes e la sua var. hortensis) tutte conosciute come “Mazze da tamburo”. Il grosso bulbo marginato, la carne arrossante, l’anello semplice e il caratteristico bulbo marginato basale, sono elementi distintivi importanti per la sua corretta identificazione. La sua tossicità provoca disturbi gastrici più o meno violenti.
Armillaria ostoyae (Romagnesi) Herink
Nome italiano: Chiodino
Nome dialettale: Ciodèl de montagna
Scheda descrittiva:
Cappello: 80-70 (110) mm, carnoso, inizialmente emisferico, poi convesso, infine appianato e anche debolmente depresso, talora con largo umbone; cuticola ornata da numerose squamule bruno-olivastre su colore di fondo ocraceo, più scure e fitte nella zona discale; margine sottile, involuto, poi progressivamente disteso, spesso con presenza di resti fioccosi del velo generale e ondulato e striato per un breve tratto, specialmente a maturità.
Lamelle: fitte, adnate, a volte più o meno decorrenti con dentino, intercalate da brevi lamellule, biancastre poi crema, con macchie brunastre, interamente brunastre a maturità.
Gambo: 50-120 x 10-20 mm, fibroso, tenace, pieno, poi farcito, cilindraceo, spesso incurvato alla base a causa della crescita fascicolata-cespitosa, a volte subbulboso, striato all’apice, bambagioso nella parte sottostante l’anello per la presenza di fioccosità bianche, brunastro e più o meno concolore al cappello nel restante, specialmente a maturità; anello fioccoso-membranoso, persistente, bianco, striato e brunastro al margine.
Carne: nel cappello è consistente nella zona discale, esigue e sottile verso il margine, soda e poi fibrosa nel gambo, biancastra, tendente al carnicino con la maturità, con odore gradevole fungino e sapore prima dolciastro poi debolmente amarognolo-resinoso, astringente.
Habitat: cresce abbondante e cespitosa su tronchi e radici anche interrate di conifere, in autunno.
Commestibilità: commestibile, ma tossico da crudo o mal cotto.
Note: specie tra le più ricercate, conosciuta come “chiodino” di montagna, è da sempre ritenuta commestibile; è purtroppo la causa di numerose intossicazioni annuali dovute al non corretto trattamento prima del suo utilizzo a scopo alimentare. In letteratura si segnalano altre 5 specie simili, anch’esse conosciute come “chiodini”, quali: Armillaria mellea, A. cepistipes, A. borealis, A. bulbosa, tutte di crescita presso ceppaie o legno interrato di svariate latifoglie; A. tabescens, è invece specie priva di anello e crescita preferenziale presso querce. Tranne quest’ultima tutte necessitano di una prebollitura in acqua bollente per almeno 10 minuti (senza coperchio) per eliminare le tossine termolabili e idrosolubili presenti nel fungo; l’acqua di cottura va poi logicamente eliminata e non più utilizzata per altri scopi. Si consiglia inoltre l’utilizzo di soggetti giovani che si riconoscono per i cappelli con lamelle biancastre, non brunastre, mentre, dei gambi va utilizzata la parte più tenera, quella più chiara, verso il cappello, eliminando la restante perché di solito fibrosa e poco digeribile; la cottura va poi completata per almeno altri 30 minuti.
Nel mese di ottobre l'attenzione sarà sul “chiodino”, dell’Armillaria mellea e della bulbosa, le due specie più comuni nel nostro territorio (reperibili presso ceppaie o residui legnosi interrati di latifoglie, sia nei boschi di montagna, di collina e di quelli golenali del fiume Oglio), tanto ambite e ricercate ma che purtroppo ogni anno sono la causa principale degli avvelenamenti registrati nella nostra provincia. Vi anticipo che sarà una pagina interessante dove, oltre alle due schede descrittive delle specie trattate, vi presenterò una locandina (che consiglio di ritagliare e conservare) dove viene spiegato il modo corretto di trattate questi funghi prima di consumarli.
Solo la conoscenza delle specie raccolte preserva da gravi rischi alla salute. Concludo con l’invito ad aderire al Circolo Micologico G. Carini di Brescia o al Circolo Micologico di Lovere - Sezione del Circolo Micologico G. Carini di Brescia".