Cevo - La mostra "Volti e luoghi della Resistenza", allestita dal Museo della Resistenza della Valsaviore con il contributo di artisti camuni, aperta in occasione delle celebrazioni del 72esimo anniversario dell’incendio di Cevo (Brescia) lo scorso 3 luglio riaprirà dal 6 agosto e sarà visitabile nel mese di agosto.
A Cevo tengono banco due eventi: il ricordo dell'incendio di Cevo e una mostra di artisti camuni sulla Resistenza. La manifestazione ufficiale sull'anniversario dell’incendio di Cevo, per mano fascista, è avvenuta quest’anno proprio il 3 luglio come 72 anni fa. L’ANPI di Valsaviore, il Museo della Resistenza di Valsaviore, Cgil Cisl Uil Vallecamonica Sebino Brescia insieme alle Federazioni dei Pensionati SPI, FNP, UILP, l’Unione dei Comuni della Valsaviore (Cevo, Berzo Demo, Cedegolo, Saviore dell’Adamello, Sellero) hanno organizzato la tradizionale manifestazione per ricordare la distruzione del paese. Alla cerimonia erano presenti Savino Pezzotta, già segretario della Cisl e parlamentare, che è intervenuto sulla Resistenza, il sindaco di Francavilla Mare, il primo cittadino di Cevo, Silvio Citroni.
LA MOSTRA
E' stata allestita dal Museo della Resistenza della Valsaviore con il contributo di artisti camuna la mostra “Volti e luoghi della resistenza”. La mostra è stata aperta in occasione delle celebrazioni del 72esimo anniversario dell’incendio di Cevo (Brescia) lo scorso 3 luglio riaprirà dal 6 agosto nello stabile della scuola elementare di Cevo.
Si tratta di una mostra di artisti locali con opere aventi per tema la Resistenza e che è stata apprezzata dal pubblico. Edoardo Nonelli ha esposto i disegni originali che sono stati pubblicati sul libro “La terza età della Resistenza” di Tullio Clementi e Luigi Mastaglia, edito a cura dell’Ecomuseo della Resistenza in Mortirolo e del Comune di Sonico. Disegni ed illustrazioni che, nell’arricchire la pubblicazione, rappresentano alcuni tragici momenti della guerra di liberazione in Valle Camonica e alcune figure di Partigiani che hanno combattuto contro i nazifascisti per conquistarci la libertà, a volte con il sacrificio della loro vita.
Sabrina Valentini era presente con le sue illustrazioni che hanno arricchito i libri “Il Racconto di Rosi”, “Il Racconto di Enrichetta” e “Il Racconto di Gino” pubblicati dal Museo della Resistenza di Valsaviore, ANPI di Vallecamonica, Circolo Culturale G. Ghislandi.
Lo Scultore Gio Mario Monella ha esposto alcune delle sue sculture, prodotto di un lavoro duro e ricco di fantasia artistica, lui stesso ebbe a dire “… si tratta di togliere il superfluo per liberare il tempo, la figura, il soggetto …”. Con le sue opere propone sogni perenni di vita, di pace, d’amore, di gioia, di gioco, irrimediabilmente impastati con il dolore, il pianto e la tragedia.
LA FIGURA DI DONATO DELLA PORTA
In questo contesto lo scorso 3 luglio è stato presentato il libro “Sulle ali della memoria” dedicato all’eroe Partigiano della 54ª Brigata Garibaldi, Donato Della Porta, vittima di un commando nazifascista il 12 dicembre 1944 in località Baulé.
Donato Della Porta nacque il 17 marzo 1922, appena diciannovenne fu dichiarato abile e arruolato e nel 1942 chiamato alle armi. L’8 settembre del 1943 con la dichiarazione dell’armistizio con gli alleati, nelle caserme e dell’esercito seguì una totale confusione, gli ufficiali erano tutti scomparsi ed i soldati abbandonati a se stessi. Il 18 settembre, in questa zona, nacque la Repubblica di Salò sotto la protezione ed il comando dei nazisti, in quel clima di estrema incertezza e di drammatico sbandamento per centinaia e migliaia di militari italiani, preda della reazione tedesca, Donato appena ventenne del sud mandato a combattere una guerra voluta dal regime fascista, decise di essere Ribelle e di non arruolarsi nelle file fasciste. Donato non ebbe bisogno di pensare, di riflettere su cosa fare e compì subito una scelta di campo chiara e coraggiosa: fare il Partigiano sulle montagne, sulle montagne della Valle Camonica.
Fu tra coloro che iniziarono a costituire i primi gruppi delle formazioni partigiane, per combattere contro gli orrori del nazifascismo, divenendo costruttore di un paese fondato sulla libertà e la democrazia, valori incancellabili della Resistenza come molti di voi hanno affermato questa mattina, e come molti testimoni che ho incontrato in questi giorni e non solo di Partigiani Rosi e Gino ma anche molti figli, fratelli e nipoti di coloro che hanno combattuto su queste montagne. Donato aveva imparato a muoversi tra le vallate, tra gli strapiombi, i laghi e le fitte pinete, come se fosse cresciuto in questi luoghi, molto diversi dal clima e dalla terra aspra e secca del suo paese segnato da masserie e distese di ulivi. Fu tra gli uomini più affidabili e fidati del leggendario comandante della 54ª Brigata d’assalto Garibaldi, Antonino detto “Nino” Parisi e nel periodo ottobre novembre del 1943, mesi molto difficili per l’Italia e per questo territorio, operava nei gruppi di partigiani che erano isolati e poco in contatto tra di loro. Donato costruì forti legami di amicizia con tanti giovani della Val Saviore che ancora oggi, dopo tanti anni, conservano un commovente ricordo di lui e con particolare ammirazione salutiamo il Partigiano Virginio detto “Gino” Boldini che ieri con la sua testimonianza diretta ha arricchito tutti noi, perché Gino ha conosciuto Donato e anche con particolare stima e ammirazione salutiamo la più giovane Partigiana d’Italia Rosi Romelli. Donato insieme ai suoi compagni d’armi, combatté con il suo nome di battaglia “Brindisino” sul capo del quale i fascisti avevano messo una taglia, la determinazione dimostrata da Donato nell’attività militare e nelle azioni di pattuglia delle sue capacità organizzative a guidare squadre di Partigiani portò la 54ª Brigata d’assalto Garibaldi “Bortolo Belotti” ad assegnargli il comando di un Battaglione della stessa Brigata.
GLI SPOSTAMENTI DEI PARTIGIANI
I Partigiani per non farsi catturare dovevano essere molto attenti e spostarsi continuamente, applicavano la norma di sicurezza che prevedeva di non sostare troppo lungo in un medesimo luogo, per ridurre i rischi di spiate e rastrellamenti. Cadere nelle mani dei tedeschi e dei fascisti significava essere sottoposti a incredibili ed indicibili torture che venivano praticate per strappare informazioni utili per l’arresto dell’intera formazione. Famiglie indifese venivano regolarmente trucidate nelle loro case, molti furono deportati a Mauthausen e non tornarono mai più.
Nella primavera del 1944, i Partigiani subirono un duro colpo, un ragazzo Lodovico Tosini, in servizio nei reparti delle S.S. italiane, recatosi sui monti di Cevo in ricognizione, fu catturato dai garibaldini, il suo favore giocò la sua giovane età, non aveva ancora compiuto 16 anni, decisero di non fucilarlo, lo congedarono intimandogli di rigare diritto, era il tardo pomeriggio dell’8 dicembre giorno dell’Immacolata, invece di ringraziare la sorte benigna, il giovane milite corre subito al presidio della (G.N.R.) guardia nazionale repubblicana di Capo di Ponte dipendente dal Comando di Breno, raccontando di essere appena sfuggito ai fuorilegge e di conoscere il loro rifugio. Alle 7:00 del 9 dicembre la baita fu circondata dalle forze nazifasciste, e quel gesto di generosità fu pagato a caro prezzo, il sei garibaldini si trovarono in trappola, senza via d’uscita, la baita poco si prestava alla difesa ma i partigiani decisero di respingere le intimazioni di resa e si ingaggiò una furibonda sparatoria durata circa quattro ore. I fascisti richiesero rinforzi e poi strisciando da un lato che i difensori non riuscivano a controllare bene per la mancanza di finestre, diedero fuoco alla cascina. Donato Della Porta con l’intenzione di salvare gli altri partigiani uscì gridando di essere il comandante del gruppo, fu subito colpito a morte, accasciandosi nella neve alta mezzo metro. Costretti dall’incendio alcuni Partigiani si arresero, altri tre rimasero asserragliati nella baita e scelsero di suicidarsi piuttosto di cadere vivi in mano nemica. Il parroco con quattro giovani del luogo tentarono di soccorrere Donato che fu trasportato nella canonica. Dopo alcune ore di patimenti, nella sera dello stesso giorno, il ferito spirò sul tavolo della cucina, nel testo autografo di Don Francesco Sisti è riportato “Della Porta Donato rimasto orrendamente ferito venne trasportato nella casa parrocchiale, amorevolmente curato e assistito, morì verso sera dopo aver ricevuto i Sacramenti, la confessione, viatico, e l’estrema unzione, con edificante pietà. In quei lunghi istanti di straziante agonia Donato ebbe la piena consapevolezza di avere immolato la propria vita per Grandi Ideali, lo confortò la profonda speranza di avere contribuito a edificare un futuro di libertà, di giustizia e di democrazia”. Il sangue di un giovane del sud seminò libertà sulle montagne della Valle Camonica, nei suoi sogni non sorrisero più i volti amati. Una compagna gli dedicò parole toccanti che ancora oggi sembrano fermare il tempo e suscitano in ciascuno di noi sentimenti di riconoscenza per Lui. Ieri sera durante la lettura di quel brano abbiamo rivissuto attimo per attimo la tragedia.
Il comandante della 54ª Brigata Garibaldi Antonino Parisi il 1 ottobre 1945, comunicò da Edolo al sindaco di Francavilla Fontana che Donato Della Porta era caduto gloriosamente il 9 dicembre 1944 in Valle di Saviore, in combattimento contro forze nazi fasciste. Il padre, il fratello, la sorella, vennero in valle per portarlo a casa. La salma accompagnata da due carabinieri e da sei rappresentanti della 54ª Brigata d’assalto Garibaldi, durante tutto il percorso di oltre 1000 km, veniva accolta in ogni luogo con manifestazioni di onore, di solidarietà e di addio. Questa mattina ho incontrato il figlio di uno degli autisti perché noi avevamo pubblicato la foto del camion (con gli autisti) utilizzato per il trasporto della salma, questa mattina abbiamo avuto il piacere di conoscere un figlio di uno di questi. A Francavilla giunse il 16 novembre 1945, i funerali si svolsero con la partecipazione di una moltitudine di persone giunte anche dai paesi vicini. Mutilati e Reduci di guerra con le loro bandiere giunsero ad accompagnare il feretro portato a spalla da quattro militari venuti da Brescia.
L’Autore continua ricordando l’oblio successivo alla tumulazione della salma del nostro Donato Della Porta, alludendo al fatto che negli anni successivi alla guerra di liberazione, comunque, nella città di Francavilla la cultura dominante fu per anni di destra, monarchica. I valori della resistenza furono estranei alla vita dei cittadini. Solo negli ultimi anni, ha ricordato l’autore, l’impegno suo personale e dell’ANPI è stato quello di avviare una ricerca su personaggi di Francavilla che furono vittime della dittatura e di coloro che hanno combattuto per sconfiggerla. Termina dicendo “… ripristinare la verità è indispensabile per tutelare la nostra democrazia, la mia ricerca è spaziata sulla vita dell’unico Partigiano combattente che Francavilla Fontana ricorda. Nel libro - sulle ali della memoria - riporto il frutto della mia ricerca sulla vita di Donato Della Porta. Per il periodo della guerra di liberazione ho preso contatto con il professor Rolando Anni docente dell’Università Cattolica di Brescia e responsabile dell’Archivio Storico della Resistenza Bresciana, il Professore mi ha trasmesso una scheda specifica e altra documentazione riferita all’attività della 54ª Brigata d’assalto Garibaldi e di Donato Della Porta, ciò mi è stato di aiuto e stimolo per proseguire la mia ricerche. Nel 2013 abbiamo saputo che i sindaci di Saviore Tonsi e di Cevo Citroni hanno deciso di trasformare la baita, teatro della battaglia di Baulè, in museo per ricordare Donato Della Porta ed i suoi compagni caduti. Per noi quel museo è come se fosse nella nostra città.