Trento - Il messaggio del presidente del Consiglio provinciale Claudio Soini per la festa del Primo Maggio: "Penso che le commemorazioni, in particolare quella del Primo Maggio, debbano anche essere occasione di concretezza. Un momento per riflettere sul futuro e su quanto abbiamo costruito sul piano sociale e quindi del lavoro. Certo, se noi fotografiamo la realtà del lavoro in Trentino non possiamo ignorare le sfide che ancora ci aspettano: sicurezza da rafforzare, produttività da consolidare e da rilanciare, crescere ancora nell’innovazione e freno della crisi demografica. Ma una fotografia non racconta tutta la storia. E lo dico anche perché, come disse Churchill: “Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà a vedere”. Se sfogliamo l’album intero della nostra comunità, vediamo che, soprattutto dal Secondo Statuto di Autonomia, il Trentino ha conosciuto uno sviluppo straordinario.
Ricerca, turismo, agricoltura, manifatturiero: settori che hanno saputo crescere e innovarsi.

Oggi abbiamo un tasso di occupazione superiore al 70% e una disoccupazione come quella giovanile contenuta al 13,4%. Sia chiaro, non voglio fare un discorso consolatorio. Tanto meno voglio indurvi a pensare che ci possiamo accontentare. Tutt’altro. Dobbiamo valorizzare ciò che ci rende unici: la qualità della vita, l’ambiente naturale, un sistema di ricerca e formazione di eccellenza. Ma soprattutto, dobbiamo garantire che il lavoro sia sicuro, dignitoso, tutelato. La sicurezza sui luoghi di lavoro non è solo un diritto: deve essere la misura del nostro essere comunità autonoma. Ma, pensiamoci: se siamo arrivati fino qui, significa che i trentini, la classe lavoratrice trentina, hanno la “stoffa” per affrontare le sfide della contemporaneità. E se è vero che l’intelligenza artificiale spaventa, è altrettanto vero che chi, come me, ha vissuto negli anni ‘80 la rivoluzione informatica, ricorderà che le paure erano le stesse di oggi. Che i profeti di sventura – sempre puntualmente smentiti – prevedevano futuri distopici e tetri. Il presidente Roosevelt, nel suo discorso di insediamento (eravamo nel 1933, allora sì che la crisi era catastrofica), disse che la “sola cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa. L’irragionevole ingiustificato terrore senza nome che paralizza gli sforzi per convertire la ritirata in progresso”.