Trentoi - Povertà, in Trentino la situazione migliora, ma pesano le paghe basse e il costo della casa. A
Palazzo Trentini è stato tracciato un quadro sul fenomeno della povertà: in Trentino, da quanto risulta dalle prime relazioni della mattinata, la situazione è in lento miglioramento anche se, come nel resto d’Italia, cresce la quota di lavoratori che rischiano di cadere in povertà. Un fenomeno, quello del rischio povertà o della povertà che riguarda sempre più i giovani, le famiglie numerose e le donne per un totale di 60 mila persone. La Provincia eroga la quota A dell’
Assegno unico, destinato alla lotta alla povertà, a
9126 famiglie per una spesa di
21 milioni di euro all’anno.

La conferenza, coordinata da
Sandra Perini, dirigente del servizio legislativo del Consiglio, è stata aperta dal presidente del Consiglio,
Claudio Soini il quale ha ricordato che questa sulla povertà è la terza che si tiene in questo primo scorcio di legislatura.
Alessio Manica (Pd), primo firmatario della richiesta di tenere la conferenza, il quale ha ricordato che l’iniziativa è partita da
Paolo Zanella (Pd) e ha ringraziato, oltre alla struttura, anche i capigruppo della maggioranza che hanno sostenuto la proposta. Le ragioni di questa richiesta derivano dal fatto, ha detto, che la povertà, nelle sue dimensioni, si fa sentire anche in Trentino. Manica ha ricordato che una delle fonti delle gravi difficoltà nelle quali molte persone si dibattono anche in Trentino sono gli stipendi bassi, il problema della casa, i costi della sanità, l’immigrazione e la carenza di accoglienza e il peggioramento della povertà educativa. L’assessore
Mario Tonina ha anche lui ricordato che le povertà sono sempre più diffuse e se il nostro territorio può vantare una situazione migliore ciò non ci esime dall’ impegno su questo tema che rimane centrale. Un tema, ha ricordato Tonina, che deve essere trasversale a tutte le competenze della nostra autonomia. La Provincia, ha aggiunto, è al lavoro su questo fronte che è complesso anche perché spesso è caratterizzato da reti di fragilità che riguardano gli anziani, le difficoltà abitative e spesso anche le fragilità educative. Il tema delle nuove e vecchie povertà deve essere inserito, ha detto ancora Tonina, ai primi posti dell’agenda politica anche perché si rischia di compromettere il futuro e i sogni delle nuove generazioni. La politica, quindi, deve fare la sua parte fino in fondo. Infine, Tonina ha ricordato un’altra emergenza: la denatalità. Un problema che rischia di peggiorare il quadro delle povertà. Una sfida per la nostra autonomia che dovrà dimostrare di saper trovare una propria via per dare una risposta a queste emergenze.
In Italia la povertà colpisce soprattutto giovani e donne
Tra gli esperti la prima a prendere la parola è stata
Chiara Saraceno, professoressa emerita di Sociologia della famiglia dell’Università di Torino la quale ha ricordato che ci sono caratteristiche della povertà che rimangono stabili in Italia: prima di tutto il fenomeno riguarda in particolar modo le famiglie, in particolare con minori (si arriva ad un rischio povertà 12,5%) e numerose (20,3%); c’è una forte concentrazione territoriale, cioè al sud, anche se negli ultimi anni, per la prima volta, è aumentata di più al nord; e nelle famiglie straniere. Inoltre, la povertà colpisce sempre di più i nuclei familiari di lavoratori, specie se monoreddito o numerosi (con tre figli o più), o madri sole. Infine, la povertà assoluta è cresciuta con la crisi finanziaria, in particolare dal 2011, e la pandemia. Saraceno, ha poi aggiunto, che essere poveri in una realtà che non lo è, come il Trentino, è ancor più pesante. Un dato positivo riguarda la povertà degli anziani, che negli anni è andata calando. Le famiglie con un anziano che rischiano di diventare povere sono il 6,4%. In generale il disagio economico interessa i minorenni e i giovani e su questo fenomeno pesa molto la povertà educativa, alimentata da fenomeni come la mancata acquisizione di adeguate competenze (22% degli studenti) o come la dispersione scolastica che ha un chiaro connotato di classe (alle professionali raggiunge il 7,9%, nei licei l’1,6%) ed è ancora più acuta tra gli stranieri. In Italia, infine, la povertà nonostante il lavoro, a causa del declino dei salari, della crescita del costo della vita, del precariato e del part – time involontario, è tra le più alte d’Europa e colpisce in particolare i lavoratori stranieri e le donne.
In Trentino 60 mila persone a rischio povertà, ma la situazione migliora
Vincenzo Bertozzi, sostituto dirigente dell’Istituto di Statistica Pat ha affrontato i numeri della povertà in Trentino. Misurare la povertà, ha spiegato, non è facile, perché ci sono tante misure tutte giuste. Si può misurare una famiglia per reddito o per consumi, due metodi che hanno i loro pregi e difetti e Ispat ha scelto l’analisi del reddito che dà maggiori garanzie. C’è poi il campo della povertà assoluta: statisticamente significa che una famiglia spende meno di una cifra che definisce un livello di vita dignitoso, mentre la povertà relativa è determinata da un reddito sotto il 60% di quello che viene considerato il reddito mediano. In Trentino l’indice di popolazione a rischio povertà, con l’Alto Adige, è il più basso a livello nazionale (6,9%) e la situazione, ha ricordato il dirigente, è in lento ma costante miglioramento. Ma la povertà, ha aggiunto il dottor Bertozzi, è un fenomeno multidimensionale che va dalla grave deprivazione materiale e sociale (l’impossibilità di potersi permettere un vestito nuovo, un’auto o una settimana di vacanza); a quello della bassa intensità di lavoro, cioè chi fa lavori precari molto brevi. Con questi parametri si arriva all’11% della popolazione. Qui si evidenzia una distanza maggiore dall’Alto Adige e ci si avvicina di più al Nord Est (11,2); in Italia e in Europa siano ad una percentuale doppia dalla nostra. In termini numerici gli individui a rischio povertà sono 37 mila, se si consideriamo anche l’esclusione sociale si arriva a 60 mila. Le famiglie a rischio sono 18 mila , 25 – 26 mila se consideriamo anche i criteri che comprendono l’esclusione sociale. Le caratteristiche dei poveri: la situazione peggiora se il principale percettore di reddito è una donna o uno straniero ha un titolo di studio basso. C’è poi il capitolo delle famiglie che oscillano attorno al rischio povertà in particolar modo se devono affrontare spese impreviste.
Assegno unico per la povertà per 9126 famiglie
Nadia Rampin, sostituto dirigente dell’Agenzia provinciale per l’assistenza e la previdenza integrativa della Pat ha parlato dell’Assegno Unico provinciale istituito nel 2016. Una spesa per la quota A dell’assegno unico è di 21 milioni all’anno, per un totale di 9126 famiglie. I principi che stanno alla base, ha spiegato la dirigente, sono l’universalità; la selettività e il condizionamento alla ricerca di un lavoro. Cinque sono le quote alle quale possono accedere le famiglie: la A per il contrasto alla povertà; la seconda aiuti per i figli minori, la terza, il sostegno per nuclei familiari invalidi e poi il sostegno e l’una tantum alla natalità. La quota A viene erogata in concorrenza con le misure statali e il massimo dell’assegno è di 950 euro al mese, 11 mila 400 all’anno. La maggior parte dei beneficiari è attorno ai 2000 euro l’anno con punte, poche, di 11,400. Svettano le copie con figli, le donne e le famiglie mono genitoriali. In questa “classifica” gli anziani sono nelle posizioni di fondo. Le situazioni sono stabili e ciò viene messo in evidenza dal fatto che circa il 70% delle famiglie ripresenta ogni anno la domanda di assegno unico. Sulla situazione economica delle famiglie, ha ricordato Nadia Rapin, pesa moltissimo l’affitto.
Il livello culturake è determinante
Ha concluso il panel, che individua e misura caratteristiche e distribuzione territoriale della povertà l’intervento di
Mirco Tonin, direttore dell’Istituto di ricerca valutativa sulle politiche pubbliche della FBK. Il professore ordinario di politica economica dell’Università di Bolzano ha parlato di povertà dal punto di vista della capacità di spesa delle famiglie. Da uno studio sulle bollette dell’acqua in Inghilterra, è emerso che le famiglie a reddito più alto si preoccupano di più dei maggiori costi. Lo stesso dicasi per un altro caso svolto in Svizzera sui dentisti laddove le diagnosi di intervento gravano maggiormente sulle persone a minore reddito. Il fenomeno è dovuto ad una combinazione di due cose: basso reddito spesso significa minore grado di istruzione e il secondo aspetto è che essere poveri implica un carico mentale stressante con minore capacità di fare scelte adeguate. Dunque le conoscenze di base delle persone sono particolarmente importanti. Da una recente statistica effettuata su 1000 trentini e altoatesini emerge che le competenze di base della popolazione regionale è simile a quello dell’Italia che si trova però tra quelli con minori competenze tra i paesi Ocse. Tonin ha analizzato il documento evidenziando le basse conoscenze su diversi contesti economico finanziari e di previdenza. Le persone mediamente più colte hanno conoscenze più elevate, così come le persone più ricche. Dunque ancora una volta: competenze basse significa maggiore rischio di venire sfruttato dal sistema.
Quanto alle microimprese, le 1700 trentine hanno una capacità di risposta superiore a quelle italiane e anche qui il titolo di studio dell’’imprenditore conta. Uno degli elementi della povertà è dunque quello delle basse competenze e da questo punto di vista contano dunque anche gli investimenti in questa direzione.
La Conferenza su “
Il fenomeno della povertà in Trentino” è proseguito
con tre panel nella sessione pomeridiana: il primo dedicato alle politiche attuate in Trentino a contrasto della povertà e dell’esclusione sociale; il secondo sul ruolo degli enti del terzo settore nella gestione del fenomeno; il terzo riguardante le prospettive future.
Azioni e misure in contrasto alla povertà e all’esclusione sociale: le politiche contro la povertà in Provincia di Trento
Il mercato del lavoro: in Trentino tasso di inattività delle donne del 32,3%
Stefania Terlizzi, dirigente generale dell’Agenzia del lavoro della Provincia di Trento, ha parlato del fenomeno della povertà dal punto di vista lavorativo. Lavorare non è sempre sufficiente per non essere poveri, ha ricordato. In Trentino il part-time incide per il 38,6% sulle donne, contro il 5,3% dei maschi, mentre il tasso di inattività è molto alto delle donne, il 32,3% contro il 21,8% degli uomini. Gli indicatori colpiscono il genere femminile, ha chiarito. Il tema part-time produce un rischio scivolamento nella povertà e fenomeni di segregazione (orizzontale e verticale). Esiste un differenziale di circa 11 punti percentuale tra le donne che lavorano che hanno e quelle che non hanno figli. Ciò, ha spiegato Terlizzi, influisce sul gender pay gap. Durata dei contratti: anche in Trentino si conferma che il lavoro a tempo determinato non è uno strumento di entrata nel mercato, ma resta legato a una situazione di precarietà che si protrae nel tempo. Al crescere delle competenze crescono la retribuzione e l’occupazione stabile, ha specificato: avere oggi nella popolazione trentina una caratterizzazione preponderante verso l’istruzione secondaria (il 52,5%) incide in questo senso. Infine ha proposto il quadro osservato ai centri per l’impiego: rispetto al programma GOL si può dire che su 20.000 utenti profilati ben l’11,3% ha una problematica di tipo sociale; si tratta di donne, stranieri e over 30, vivono in nuclei con reddito inferiore a 1.500 euro, il 7,5% ha condizioni di debito finanziario grave o insolvenza, ⅗ sono persone fragili che non hanno una rete di sostegno familiare.
D’Urso: garantire equità di accesso, presa in carico ed erogazione
Antonio D’Urso, dirigente generale del Dipartimento salute e politiche sociali della Provincia di Trento, ha parlato di una situazione particolare del Dipartimento di avere da una parte l’obiettivo della famiglia sotto il profilo sociale e dall’altro sotto il profilo sanitario un approccio riferito alla persona. Sotto il profilo sociale, ha detto, si è cercato di sviluppare la prevenzione, bisogna approcciare e migliorare il sistema di welfare trentino, lottare per avere strumenti importanti di contrasto alla povertà educativa. Sotto il profilo sanitario l’approccio è individuale. Il dirigente ha citato l’articolo 32 della Costituzione e parlato di un diritto alla salute agito: perché lo sia bisogna garantire equità di accesso, presa in carico ed erogazione. Il servizio sanitario deve perciò essere più capillare sul territorio, più vicino ai bisogni delle persone e più in grado di intercettare i bisogni. D’Urso ha fatto riferimento ai fondi Pnrr e al Dm 77 e si è augurato che il nuovo modello di assistenza sanitaria territoriale consenta un avvicinamento delle persone nei confronti dei servizi, a partire dalla medicina generale, per arrivare a livelli di cura sempre più complessi. Siamo in piena sintonia con un welfare sanitario vicino alle persone, ha affermato ancora.
La povertà come condizione multidimensionale, le misure adottate
Miriana Detti, dirigente generale dell’Agenzia per la coesione sociale della provincia di Trento, ha affermato che il Trentino ha una lunga esperienza nel settore della promozione del benessere familiare con la legge 1 del 2011. Tra i pilastri fondamentali ha collocato la centralità delle politiche per la famiglia. Le politiche dell’Agenzia, ha spiegato, sono volte a supportare il benessere familiare e a prevenire lo scivolamento delle famiglie verso situazioni di povertà. Ha ricordato, tra le misure economiche adottate, la dote finanziaria per l’indipendenza dei giovani e contributo alla nascita dei figli, il contributo per famiglie numerose, il voucher sportivo, quello culturale, l’Euregio Family Pass. Importanti le misure di conciliazione vita-lavoro (contributi agli enti che organizzano soggiorni estivi e buoni di servizio Fse), ha detto, e ha proposto una disamina dei distretti famiglia (20, con oltre 1.100 organizzazioni aderenti) e del welfare territoriale. Tra le misure ha inserito le certificazioni per il benessere e l’inclusione (Family in Trentino con 338 organizzazioni certificate, Family Audit con 216 organizzazioni certificate con sede legale in Trentino e 438 a livello nazionale, il Marchio Open). Infine le politiche giovanili (con il Scup) e per le pari opportunità.
Le riforme necessarie, da quella dell’Aup a quella di Icef e politiche per la casa
Walter Viola, dirigente generale dell’Umst Resilienza abitativa, sostenibilità e assegno della provincia di Trento, ha approfondito la prospettiva della riforma dell’Aup (quota A), la questione riferita all’Icef e quella delle politiche per la casa. C’è una forte volontà di arrivare a una riforma della quota A di sostegno al reddito dando un forte impulso all’attivazione del lavoro, ha spiegato, si spingerà molto di più su questo aspetto tenendo conto che il cammino è abbastanza difficile perché ha visto uno scenario mutato negli ultimi tempi. Rivedere la misura e renderla più efficace è lo scopo principale della revisione su cui si sta lavorando, ha spiegato. L’Icef: ha avuto una storia molto importante, nel tempo è passato da strumento generale di valutazione e misurazione della situazione economica e patrimoniale a strumento delle singole politiche. Ci sono circa 36 Icef, uno per ogni politica, con tutti i disallineamenti che ciò comporta: lo strumento va rivisto nella sua struttura perché nell’attribuzione del valore dell’indicatore attualmente il patrimonio pesa solo il 4,4% mentre la situazione reddituale copre il restante 95,6%. Si rende necessaria una rivisitazione che muova verso la semplificazione, una maggiore equità e che riporti l’indicatore a strumento della misurazione economica complessiva. Si sta ragionando nel senso di una semplificazione riportando a 4 settori, ha riassunto. Politiche per la casa: in Trentino ci sono 387.401 abitazioni, 60,8% occupate, 39,2% non occupate da dimoranti abituali (molto alta l’incidenza delle seconde case); il 74,8% delle famiglie ha abitazione di proprietà, il 16,5% è in affitto e l’8,1% in usufrutto/uso gratuito. Il mercato delle locazioni in Trentino è del 16% con delle grandi differenze sui diversi territori; nella fascia giovane tra i 18 e i 39 anni il 36,4% delle famiglie è in affitto e il 47,5% ha abitazione di proprietà. Il 24,9% delle famiglie sta pagando un mutuo per acquisto o ristrutturazione della prima casa. L’obiettivo che Viola ha tracciato per il medio-lungo periodo è il diritto alla casa accessibile a tutta la popolazione.