Pasqua ha chiuso l’incontro con uno sguardo di ottimismo: «Penso che il vino sia una categoria molto anticiclica, vedo un futuro roseo per il vino italiano: la sua fortuna sarà legata alle nuove generazioni che hanno voglia di mettersi in gioco».
Trentodoc Festival: la comunicazione nel mondo del vino
Comunicare il vino in maniera efficace, attraverso contaminazioni con altri mondi e costruendo rapporti con i propri consumatori, ma anche sfruttare i nuovi media cogliendo le opportunità del digitale. Se ne è discusso oggi, sabato 8 ottobre, a Palazzo Roccabruna, nell’ambito della seconda giornata del Trentodoc Festival. Ospiti del wine talk condotto da Luciano Ferraro, Camilla Lunelli, direttrice della comunicazione e delle relazioni esterne del Gruppo Lunelli; Antonio Capaldo, presidente di Feudi San Gregorio; Giacomo Malfer, titolare di Revì, e Paolo Dorigati, responsabile produzione e titolare di Methius.
“Ferrari Trento investe molto in comunicazione ma in primis sulla qualità del prodotto – precisa Camilla Lunelli. La comunicazione – continua – è sempre stata molto innovativa: oltre a rivolgersi al mondo del vino, ha sempre ricercato anche contaminazioni con altri mondi, come moda, design o gastronomia, ma anche sport. Una presenza storica fin dagli anni Ottanta – come dimostra anche la suggestiva immagine di Paolo Rossi che festeggia la vittoria del Mondiale ’82 allo stadio Bernabeu con la bottiglia di Ferrari – che però si è intensificata negli ultimi due anni con il nostro ingresso in Formula Uno”. Una decisione fortunata, che offre un grande ritorno in termini di visibilità e che ha spinto sicuramente anche le vendite sui mercati esteri, tanto che l’azienda ha scelto – già al termine del primo anno – di prolungare la collaborazione da 3 a 5 anni.
L’arte è invece il mondo “sposato” da Feudi San Gregorio perché – come specificato dal presidente Antonio Capaldo – collegato al DNA della marca. “Noi siamo sempre stati vicini ai concetti di bellezza, anche a livello di paesaggio e territorio, tanto che ne abbiamo inserito la tutela nel nostro progetto di sostenibilità. Fin dalle nostre origini, abbiamo voluto dare forma a bottiglie che fossero anche belle da vedere, collaborando con maestri del design sia a livello di etichette che di packaging. Dal 2014 – prosegue – abbiamo iniziato a creare una collezione d’arte con etichette realizzate ad hoc in edizione limitata che vanno a sostegno di una fondazione legata al sociale. Oltre a questo aspetto valoriale – conclude – il nostro approccio è anche motivo di orgoglio per la comunità interna e di attrattività per i nostri stakeholder”. La bellezza – ricorda Ferraro – si esprime anche nella struttura architettonica, che attira molti visitatori promuovendo l’enoturismo.
In termini di comunicazione diretta e di rapporti con il consumatore interviene Giacomo Malfer di Revì, raccontando le numerose experience da loro proposte, come l’opportunità per l’ospite di provare la sboccatura à la volèe o di effettuare una degustazione insolita in un bosco, anziché in una sala di degustazione tradizionale. “Cerchiamo di ampliare il raggio di godibilità della bottiglia e i social, in tal senso, ci aiutano molto a diffondere e comunicare quello che facciamo. Difficile sicuramente misurare l’efficacia ma quando l’ospite è felice e ricorda l’esperienza sappiamo che il risultato è stato raggiunto e che chi ci è venuto a trovare diventerà un nostro vero ambasciatore”.
Paolo Dorigati porta invece l’esempio di Methius, che ha scelto di concentrarsi su un unico prodotto, sostenuto da una cifra stilistica e una vision ben precise. “Il nostro Trentodoc – racconta – è un prodotto figlio del territorio, nato nel 1986 con la volontà di esprimere una grande qualità di metodo classico all’interno di un’azienda di rossi. Siamo nati – ricorda – quando la spumantistica non aveva il significato odierno, ma siamo riusciti a esplodere negli anni Novanta riuscendo ad affascinare in punta di piedi il consumatore, anche grazie alla scelta di operare una produzione limitata ed esclusiva, che si attesta sulle 15.000 bottiglie circa”.
E sul mondo social e nuovi media tutti sembrano essere d'accordo: si tratta di strumenti fondamentali e che richiedono competenze e investimenti ma che danno sicuramente una grande opportunità di visibilità e targettizzazione. Ad essere premiati, spesso, sono non solo l’originalità ma anche l’autenticità del messaggio e la qualità dei contenuti. Sulla figura degli influencer, sicuramente mancano personaggi trainanti come in altri settori, ma probabilmente – concordano – è anche un fatto legato al forte contenuto esperienziale e conviviale del vino, che non può conquistare solo alla vista, come un abito, ma va degustato.
Grande successo per lo showcooking all’insegna di pasta madre e bollicine del territorio
Il boom della panificazione fatta in casa è stato una delle conseguenze, positive, del lockdown legato alla pandemia. Ecco perché l’incontro “Pane, terra e parole” si è rivelato un talk show ad alto tasso d’interesse da parte di un folto pubblico con domande legate a pasta madre, miscele di lieviti, temperatura del forno e via impastando. D’altronde il Festival del Trentodoc alla Loggia del Romanino ha riunito per l’occasione un gruppo di artigiani di livello assoluto come Matteo Piffer, titolare di Panificio Moderno di Isera e Davide Longoni, titolare di Panificio Davide Longoni a Milano. Con loro sul palco Stefano Berzi, Miglior Sommelier d’Italia Associazione Italiana Sommelier 2021.
Il connubio pane e vino, in questo caso, lievitati e spumante, ha delle radici comuni. Letteralmente. Lo ha spiegato Longoni: “Sì, il pane è un prodotto agricolo e culturale. Ed entrambi sono legati alle filiere. Noi abbiamo cercato, con la nostra associazione Pau (panificatori agricoli urbani) di cui fa parte anche Matteo Piffer, siamo una cinquantina in tutta Italia, di riportare la panificazione a delle filiere, cosa che era andata perduta da decenni ormai. Il grano da troppo tempo arrivava da tutto il mondo. Noi abbiamo una nostra filiera, italiana e controllata. Tutto nell’ottica del rispetto dei suoli”.
Matteo Piffer si è fatto un nome che, dal Trentino, lo ha portato ai vertici della panificazione della Penisola. “Il Trentodoc, aldilà del prodotto, promuove una identità territoriale. La realizzazione di questa idea genera dei processi molto interessanti: la filiera del pane trentino prevede anche la reintroduzione qui da noi dei cereali, una coltivazione che dagli anni 50 è andata un po’ in disuso. Con la consapevolezza che abbiamo oggi”. E dopo le parole, per la gioia di tutti, via con le mani in pasta.