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Trentodoc, il futuro del vino italiano? "Legato alle nuove generazioni"

Trento - Trentodoc Festival, il futuro del vino italiano? Sarà legato alle nuove generazioni che hanno voglia di mettersi in gioco. Nello spazio archeologico sotterraneo del Sas di Piazza Cesare Battisti a Trento, confronto su passaggio generazionale e nuove sfide di mercato con gli interventi di Vittorio Frescobaldi, attuale export manager di Cru et Domaines de France e futura guida di una delle nobili realtà vinicole più famose d’Italia, Riccardo Pasqua, ceo di Pasqua Vigneti e Cantine, Carlo Moser di Cantina Moser e Daniele Endrici, quinta generazione di Cantine Endrizzi.
Nella foto © Matteo Rensi PAT, Carlo Moser, Vittorio Frescobaldi, Riccardo Pasqua e Daniele Endrici


Carlo Moser, titolare insieme al cugino Matteo di Cantina Moser, è la seconda generazione dell’azienda fondata dal padre di Carlo, Francesco, campione del ciclismo mondiale. «Mio padre Francesco – ha raccontato - ha fondato la nostra azienda nel 1979, e nel 2005 c’è stato l’ingresso di mia sorella e mio cugino mentre io sono arrivato nel 2011. Siamo nati in un paese di 500 abitanti in valle di Cembra, dove si respira viticoltura ovunque, soprattutto focalizzata sul Mueller Thurgau e lo Chardonnay. Siamo stati molto fortunati a ereditare le redini di questa Cantina, e noi nuova generazione abbiamo cercato di spenderci in tutto e per tutto per migliorare, riuscendo ad affermare il prodotto indipendentemente dal nome. Negoziare con mio padre su temi come gli investimenti e le scelte strategiche da fare in azienda non è facile, ma quel che è certo è che oggi le nostre etichette sono riconosciute per il nostro lavoro. Abbiamo puntato tantissimo sulla freschezza dei nostri prodotti, sulla grande sapidità, sulla facilità di beva, ma anche su vini che fanno affinamenti molto lunghi». Carlo Moser è anche vicepresidente dell’Istituto Trento Doc: «Da anni l’Istituto sta lavorando nella comunicazione e nella promozione. La nostra è una denominazione piccola, che si è fatta conoscere in questi anni per la sua qualità. Di questo siamo particolarmente orgogliosi, perché è stata anche la prima volta in cui siamo riusciti a trovare un punto d’accordo tra tutti i produttori, dalle cantine sociali ai produttori artigianali. La crescita del Trentodoc sarà legata sempre di più alla qualità».


Vittorio Frescobaldi, ultima generazione di una delle realtà vinicole più blasonate d’Italia, oggi è l’export manager di Cru et Domaines de France, realtà che fa parte del gruppo Les Grands Chais de France, proprietaria di oltre 70 Domaines francesi e di numerose altre cantine nel mondo, per un fatturato globale di 1,2 miliardi di euro. Il passaggio generazionale in famiglia non è ancora avvenuto per Vittorio, ma sicuramente è all’orizzonte: «Io sarò la 31ma generazione che lavorerà nell’azienda di famiglia – ha raccontato Vittorio Frescobaldi -. La mia esperienza di Bordeaux mi ha aperto molto la mente sulla qualità e con Les Grands Chais de France ho avuto l’opportunità di assaggiare moltissimi vini per avere un panorama estremamente variegato. Qualche volta dico a mio padre che bisogna che ci mettiamo in discussione su quello che facciamo: quando tornerò in Frescobaldi spero di poter trovare innovazione e freschezza nella nostra impresa di famiglia. Se avessi iniziato a lavorare per Frescobaldi senza fare esperienza all’estero, avrei una visione più ristretta di questo mondo e delle sue potenzialità. Oggi Frescobaldi ha aperto un ufficio anche a Bordeaux e quindi immagino che il mio passaggio generazionale partirà da lì: voglio portare nuovi modelli distributivi».


Parla di «convivenza generazionale» più che di passaggio generazionale Daniele Endrici, quinta generazione di Cantine Endrizzi assieme alla sorella Lisa. «Non possiamo parlare di staffetta in azienda, perché i nostri genitori sono ancora attivissimi, per questo parliamo di convivenza e non di passaggio generazionale. In questo momento stiamo vivendo un momento molto dinamico, animato da molti progetti. Stiamo ricercando l’altezza, abbiamo appena acquistato 10 ettari a Brentonico, a 700 metri di altitudine. Vent’anni fa abbiamo messo un piccolo piede in Toscana, con 20 ettari di proprietà in Maremma, per un totale di una settantina di ettari circa globali. Mia sorella, io e il marito di mia sorella stiamo prendendo in mano la nostra realtà, sempre coadiuvati dai nostri genitori: tra i nostri obiettivi c’è il rendere sempre più green la nostra cantina, che stiamo ampliando di altri 1500 mq. La prima cosa che abbiamo fatto Lisa e io quando siamo entrati in azienda è stata creare la linea Dalis, dallo stile più “young”, a cui è seguito il Trentodoc Piancastello dosaggio zero. Siamo in un momento di espansione, anche se l’incertezza economica del momento non fa bene a nessuno, e il nostro obiettivo sarà quello di cercare nuovi mercati, che per noi saranno Stati Uniti e Asia visto che fino a ora siamo sempre stati concentrati sull’Italia e il nord Europa». Una gestione familiare insomma dinamica e serena: «Personalmente – ha concluso Endrici - ho sempre voluto più che guidare, guadagnarmi il rispetto di chi lavora nella nostra azienda e di chi acquista i nostri vini con progetti portati a termine e che fossero di successo».


Ultimo testimonial del passaggio generazionale viene da Pasqua Vigneti e Cantine, brand fortissimo all’estero oltre che in Italia. Il ceo Riccardo Pasqua ha raccontato come «la cosa più difficile del nostro passaggio generazionale è stata sicuramente trovare il posto giusto per ciascun componente della famiglia, affinché ognuno potesse esprimere al meglio. La cosa più bella di questa fase è stata ed è tuttora la spinta di creatività ed energia estremamente produttiva che si porta dietro. L’azienda a fine anni Duemila non andava benissimo e nel 2009, durante la crisi finanziaria, ho deciso di andare negli Stati Uniti per provare a riscrivere la nostra storia oltreoceano. È così che siamo riusciti ad aprire il mercato in 47 su 50 Stati americani, innescando quella crescita che a sua volta ha generato le risorse utili per il cambio generazionale. Queste risorse hanno anche permesso di attirare nuovi talenti nella nostra organizzazione. Le persone sono il primo asset di un’impresa: oggi una trentina di persone, dislocate in tre continenti e per il 53% donne, è il nostro tesoro prezioso che ogni giorno stimola a nuovi progetti e nuove idee.
La nostra centralità è la creatività. Siamo stati audaci in alcune scelte, anche quando lanciammo il nostro rosato che voleva competere con i provenzali, l’11 Minuts. Ma, come si dice, “if you don’t risk it, you don’t get the biscuit”».

Pasqua ha chiuso l’incontro con uno sguardo di ottimismo: «Penso che il vino sia una categoria molto anticiclica, vedo un futuro roseo per il vino italiano: la sua fortuna sarà legata alle nuove generazioni che hanno voglia di mettersi in gioco».


Trentodoc Festival: la comunicazione nel mondo del vino
Comunicare il vino in maniera efficace, attraverso contaminazioni con altri mondi e costruendo rapporti con i propri consumatori, ma anche sfruttare i nuovi media cogliendo le opportunità del digitale. Se ne è discusso oggi, sabato 8 ottobre, a Palazzo Roccabruna, nell’ambito della seconda giornata del Trentodoc Festival. Ospiti del wine talk condotto da Luciano Ferraro, Camilla Lunelli, direttrice della comunicazione e delle relazioni esterne del Gruppo Lunelli; Antonio Capaldo, presidente di Feudi San Gregorio; Giacomo Malfer, titolare di Revì, e Paolo Dorigati, responsabile produzione e titolare di Methius.


“Ferrari Trento investe molto in comunicazione ma in primis sulla qualità del prodotto – precisa Camilla Lunelli. La comunicazione – continua – è sempre stata molto innovativa: oltre a rivolgersi al mondo del vino, ha sempre ricercato anche contaminazioni con altri mondi, come moda, design o gastronomia, ma anche sport. Una presenza storica fin dagli anni Ottanta – come dimostra anche la suggestiva immagine di Paolo Rossi che festeggia la vittoria del Mondiale ’82 allo stadio Bernabeu con la bottiglia di Ferrari – che però si è intensificata negli ultimi due anni con il nostro ingresso in Formula Uno”. Una decisione fortunata, che offre un grande ritorno in termini di visibilità e che ha spinto sicuramente anche le vendite sui mercati esteri, tanto che l’azienda ha scelto – già al termine del primo anno – di prolungare la collaborazione da 3 a 5 anni.


L’arte è invece il mondo “sposato” da Feudi San Gregorio perché – come specificato dal presidente Antonio Capaldo – collegato al DNA della marca. “Noi siamo sempre stati vicini ai concetti di bellezza, anche a livello di paesaggio e territorio, tanto che ne abbiamo inserito la tutela nel nostro progetto di sostenibilità. Fin dalle nostre origini, abbiamo voluto dare forma a bottiglie che fossero anche belle da vedere, collaborando con maestri del design sia a livello di etichette che di packaging. Dal 2014 – prosegue – abbiamo iniziato a creare una collezione d’arte con etichette realizzate ad hoc in edizione limitata che vanno a sostegno di una fondazione legata al sociale. Oltre a questo aspetto valoriale – conclude – il nostro approccio è anche motivo di orgoglio per la comunità interna e di attrattività per i nostri stakeholder”. La bellezza – ricorda Ferraro – si esprime anche nella struttura architettonica, che attira molti visitatori promuovendo l’enoturismo.


In termini di comunicazione diretta e di rapporti con il consumatore interviene Giacomo Malfer di Revì, raccontando le numerose experience da loro proposte, come l’opportunità per l’ospite di provare la sboccatura à la volèe o di effettuare una degustazione insolita in un bosco, anziché in una sala di degustazione tradizionale. “Cerchiamo di ampliare il raggio di godibilità della bottiglia e i social, in tal senso, ci aiutano molto a diffondere e comunicare quello che facciamo. Difficile sicuramente misurare l’efficacia ma quando l’ospite è felice e ricorda l’esperienza sappiamo che il risultato è stato raggiunto e che chi ci è venuto a trovare diventerà un nostro vero ambasciatore”.


Paolo Dorigati porta invece l’esempio di Methius, che ha scelto di concentrarsi su un unico prodotto, sostenuto da una cifra stilistica e una vision ben precise. “Il nostro Trentodoc – racconta – è un prodotto figlio del territorio, nato nel 1986 con la volontà di esprimere una grande qualità di metodo classico all’interno di un’azienda di rossi. Siamo nati – ricorda – quando la spumantistica non aveva il significato odierno, ma siamo riusciti a esplodere negli anni Novanta riuscendo ad affascinare in punta di piedi il consumatore, anche grazie alla scelta di operare una produzione limitata ed esclusiva, che si attesta sulle 15.000 bottiglie circa”.


E sul mondo social e nuovi media tutti sembrano essere d'accordo: si tratta di strumenti fondamentali e che richiedono competenze e investimenti ma che danno sicuramente una grande opportunità di visibilità e targettizzazione. Ad essere premiati, spesso, sono non solo l’originalità ma anche l’autenticità del messaggio e la qualità dei contenuti. Sulla figura degli influencer, sicuramente mancano personaggi trainanti come in altri settori, ma probabilmente – concordano – è anche un fatto legato al forte contenuto esperienziale e conviviale del vino, che non può conquistare solo alla vista, come un abito, ma va degustato.


Grande successo per lo showcooking all’insegna di pasta madre e bollicine del territorio
Il boom della panificazione fatta in casa è stato una delle conseguenze, positive, del lockdown legato alla pandemia. Ecco perché l’incontro “Pane, terra e parole” si è rivelato un talk show ad alto tasso d’interesse da parte di un folto pubblico con domande legate a pasta madre, miscele di lieviti, temperatura del forno e via impastando. D’altronde il Festival del Trentodoc alla Loggia del Romanino ha riunito per l’occasione un gruppo di artigiani di livello assoluto come Matteo Piffer, titolare di Panificio Moderno di Isera e Davide Longoni, titolare di Panificio Davide Longoni a Milano. Con loro sul palco Stefano Berzi, Miglior Sommelier d’Italia Associazione Italiana Sommelier 2021.
Il connubio pane e vino, in questo caso, lievitati e spumante, ha delle radici comuni. Letteralmente. Lo ha spiegato Longoni: “Sì, il pane è un prodotto agricolo e culturale. Ed entrambi sono legati alle filiere. Noi abbiamo cercato, con la nostra associazione Pau (panificatori agricoli urbani) di cui fa parte anche Matteo Piffer, siamo una cinquantina in tutta Italia, di riportare la panificazione a delle filiere, cosa che era andata perduta da decenni ormai. Il grano da troppo tempo arrivava da tutto il mondo. Noi abbiamo una nostra filiera, italiana e controllata. Tutto nell’ottica del rispetto dei suoli”.


Matteo Piffer si è fatto un nome che, dal Trentino, lo ha portato ai vertici della panificazione della Penisola. “Il Trentodoc, aldilà del prodotto, promuove una identità territoriale. La realizzazione di questa idea genera dei processi molto interessanti: la filiera del pane trentino prevede anche la reintroduzione qui da noi dei cereali, una coltivazione che dagli anni 50 è andata un po’ in disuso. Con la consapevolezza che abbiamo oggi”. E dopo le parole, per la gioia di tutti, via con le mani in pasta.

Ultimo aggiornamento: 08/10/2022 20:02:36
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