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Le malghe ritrovate: il viaggio di Antonio Stefanini

In un volume l’ultima fatica etno-storiografica del ricercatore cortenese

Corteno Golgi (Brescia) - “Mi attengo in questa monografia, più descrittiva che analitica – oserei dire più amorosa che scientifica – sulla storia di quel microcosmo che sono gli antichi insediamenti antropici a uso zootecnico nelle zone alte del nostro piccolo-grande territorio orobico nord-orientale, a una retrospettiva limitata nel tempo, ossia a quanto ho visto e so, vuoi perché narratomi da chi ha fatto la vita del malgaro, vuoi in virtù di una seppur minima esperienza personale. Oltre, naturalmente, a quanto ho potuto scovare nelle mie modeste ma insistite ricerche", così inizia, nella premessa del libro Le malghe ritrovate – sottotitolo Storia e iconografia di 22 alpeggi orobici e delle loro 130 straordinarie baracche, con notizie d’epoca sull’agricoltura – il discorso del cortenese Antonio Stefanini su quella che considera una ricerca dovuta alla sua origine contadina e all’appartenenza montanara, come diverse di quelle condotte e pubblicate nel corso degli ultimi vent’anni.

Che continua: “Questo non tanto per scarsità d’immaginazione, bensì per logica. La presente è, infatti, non un’opera di ricostruzione fantastica, ma una ricerca di evidenze tutto sommato poco nascoste seppure sparse, materiali, testimoniali e documentali (fotografiche o testuali) soltanto dormienti negli archivi in attesa di riscoperta. Si tratta di qualcosa di grandioso? No. Caso mai di umilissimo e poverissimo, socialmente ed economicamente marginale specialmente oggi, come quasi tutto quel che concerne la nostra Montagna. Eppure tutt’altro che insignificante.
Anzi, colmo di dignità e degno d’essere conosciuto.”

Il volume, fresco di stampa e in distribuzione locale oltre che diretta da parte dell’autore, è un compendio di ricerche che spazia dalla storia recente (soprattutto il periodo del progressivo abbandono degli ultimi cinquant’anni), alle storie di vita vissuta (da chi ha fatto la vita di malga, ovviamente); dalla ricerca documentale precedente il 1900 a quella del periodo fascista, fino ai primi anni del secondo dopoguerra, quando per alcuni anni sembrò che le malghe fossero ancora una ricchezza imprescindibile per la provatissima economia alpina uscita dal disastroso conflitto.

C’è ovviamente una parte descrittiva e fotografica di ciascuna delle malghe locali all’epoca della loro maggiore frequentazione, favorita dalle splendide immagini aeree di Swisstopo, risalenti al periodo 1946-1956, che Stefanini ha scovato e per le quali ha avuto il permesso di pubblicazione dall’istituzione elvetica. Come ci sono le immagini della, per lo più triste, loro condizione attuale.
Baradèl, Pasò, Ènet o Vènet, Torsolàz de Ènet, Traasìna, Cülvegla, Foràm, Tremùcc, Agna, Pìcol, Casàza, Torsolàz, Bondù o Bundù, Sòn, Barbiù, Campadéi, Dós, Bàrech, Palabìu, Magnòlta, Magnöla, Nèmbra, Fréra e Pìsa, con accenno a Campo, Demignone, Pila, Torena, Fraitina, Ial di Fior, Lavazza e Dosso. Questa la toponomastica del territorio analizzato, un microcosmo brulicante di vita per lunghi secoli – non di rado con record di presenze zootecniche rispetto a territori limitrofi – e oggi in progressivo abbandono nonostante le carrabili di servizio.
A dispetto della limitata area oggetto dello studio, piuttosto ricca la bibliografia consultata da Stefanini, così come i riferimenti scientifici.

Le malghe ritrovate, 160 pagine, prezzo di copertina 16,50 euro.
Autore Antonio Stefanini, skyrun@tiscali.it
Ultimo aggiornamento: 27/11/2024 23:48:35
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