Al riguardo la stessa disciplina comunitaria riconosce la possibilità di prevedere procedure di autorizzazione specifiche per i piccoli impianti di generazione decentrata e/o distribuita, tenendo conto della loro dimensione e del loro impatto potenziale limitati. Così sancendo che a fronte di un minor impatto economico possa essere prevista una diversa regolazione.
Le piccole concessioni idroelettriche garantiscono, d’altro canto, una indispensabile risorsa economica per i Comuni, i quali destinano gran parte dei ricavi generati dagli impianti all’autoconsumo proprio o di altri territori, alimentando le casse pubbliche per impieghi di rilievo sociale e per produrre benefici diretti sui territori. Gli utili ottenuti con l’attività concessionata non sono dunque utilizzati per ottenere una maggiore concorrenzialità nel rapporto con gli altri operatori.
La differenza fondamentale che si ha qualora la concessione a derivare sia in capo a un soggetto pubblico, anziché a un privato, è data proprio dall’impiego del ricavato, che è investito per creare servizi o altre utilità pubbliche e non per ottenere una maggiore concorrenzialità nel rapporto con gli altri operatori. Quindi la concessione affidata direttamente (all’ente locale o a sua società partecipata) non avrebbe sul mercato quelle conseguenze contestate dalla Commissione UE, sia per le dimensioni limitate degli impianti, sia per la vocazione istituzionale (e non di mercato) del concessionario.
Lo svolgimento dell’attività di produzione idroelettrica rientra inoltre - per riconoscimento normativo - tra le funzioni attribuite ai Comuni (DPR 235/1977; TU società pubbliche): si tratta di un’attività d’interesse generale che finisce col perdere quel carattere prettamente industriale che la caratterizza laddove, come nel caso di specie, venga svolta da operatori pubblici. Il legislatore ha ritenuto che lo svolgimento di queste attività rientri tra le finalità specifiche dell’ente, così ravvisando un interesse generale allo svolgimento delle stesse (altrimenti non le avrebbe attribuite).
Dunque, un’attività volta a soddisfare l’interesse generale con un impatto pressoché nullo nell’ambito concorrenziale per cui va considerato se possa essere consentito un affidamento diretto.
Al riguardo deve osservarsi che l’attribuzione (diretta) della concessione all’ente, per quanto irrilevante sotto il profilo concorrenziale, porta ad un risultato di estremo rilievo per gli enti locali, che si riallaccia all’uso “sociale” delle acque, intese come una risorsa del territorio che viene in tal modo direttamente utilizzata a favore dello stesso.
Non si deve dimenticare che i Comuni trentini, come circa il 43% delle Amministrazioni comunali, distribuiti in tutte le Regioni con una prevalenza nei territori dell’Italia settentrionale, sono Comuni montani.
Gli enti montani, così come definiti dall’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1257/1999, sono territori caratterizzati da notorie difficoltà di gestione (con conseguente incremento dei costi) legate alla complessità geografica. Ebbene, in generale i territori montani si trovano ad essere il fornitore di una risorsa (l’acqua per uso idroelettrico) che viene usata da altri: i concessionari idroelettrici, e che produce una remunerazione data dai canoni incamerati dalle regioni concedenti. Il tutto con limitati effetti positivi sul territorio.
Solamente in base all’affidamento delle concessioni il territorio si trova finalmente - e in concreto - ad essere investito in modo diretto delle utilità economiche derivanti dall’impiego delle sue risorse. Si tratta di un ragionevole riconoscimento a fronte di un ben più ampio utilizzo delle risorse montane, che - viste le dimensioni contenute degli impianti – è nella sostanza irrilevante per gli equilibri del mercato idroelettrico (che, a ben vedere, si vedrebbe sottratta solo una parte limitata delle risorse ed oltretutto senza alcun effetto distorsivo della concorrenza).
In tal senso, l’affidamento diretto di una concessione idroelettrica deve essere inquadrato come uno strumento utile a consentire all’ente locale di “finanziarsi” al fine di sostenere i maggiori costi dei servizi che caratterizzano i territori montani (colmando il divario che li divide dai territori pianeggianti).
Dunque, per far fronte ad una situazione “particolare” e “meritevole”, quale è quella dei territori montani, che sono in generale oggetto di misure di tutela e di sostegno e di un approccio “sensibile” a livello giurisprudenziale. Orbene, se vengono riconosciute deroghe a favore di operatori privati, a maggior ragione le misure compensative ben possono essere riferite agli enti pubblici territoriali.
Al riguardo proprio la Direttiva dell'Unione Europea 2006/123/CE (Direttiva Bolkenstein) specifica che in relazione a quei servizi “che sono correlati a compiti importanti relativi alla coesione sociale e territoriale”, e quindi in presenza di situazioni aventi particolari connotazioni, i principi concorrenziali in essa contenuti
possono essere affievoliti (considerando n. 72).
Più in generale, l’art. 174 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) prevede che “Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare, l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna”.
Vi è infine da considerare che l’assegnazione diretta della concessione ai Comuni si sostanzierebbe nel riconoscimento alle entità territoriali di un compenso a fronte dell’assegnazione in concessione di beni naturalistici di interesse generale, come nel caso del pagamento dei servizi ecosistemici e ambientali (PSEA).
Trattasi di una figura a lungo dibattuta e che ha trovato spazio anche nell’ambito normativo nazionale e si basa sul presupposto che l’utilizzazione di proprietà demaniali e collettive per produzioni energetiche deve essere remunerata e che i beneficiari finali del sistema di PSEA siano i Comuni.
In conclusione, si tratta di attribuire in concessione un bene di rilevanza sociale agli enti locali di un territorio (quello montano) che sconta notevole difficoltà operative e che è pacificamente considerato svantaggiato. Il tutto con modalità che non inferiscono con le attività economiche e quindi con la tutela della concorrenza.
Premesso quanto sopra e rimandando l’eventuale sviluppo di ulteriori argomentazioni a supporto della presente mozione a successivi approfondimenti, il Consiglio delle autonomie locali intende dare mandato al Presidente e alla Giunta del Consiglio delle autonomie locali affinché siano percorse tutte le possibili vie istituzionali, di concertazione e di condivisione politica, al fine di attivare un dibattito pubblico generale che abbia ad oggetto la valorizzazione del ruolo speciale dei Comuni montani nella assegnazione/rinnovo delle concessioni di piccole derivazioni idroelettriche, in quanto non lesivo dei principi di concorrenza, e di stimolare gli opportuni iter normativi a livello locale, nazionale ed eurounitario che permettano di disciplinare il settore in coerenza con i principi richiamati a
tutela della posizione degli enti locali.
"Per tutte le ragioni sopra esposte e secondo le direttive generali sopra indicate, il Consiglio delle autonomie locali con la presente mozione
IMPEGNA
il Presidente e la Giunta del Consiglio delle autonomie locali:
1. a intraprendere le iniziative politiche e le azioni necessarie presso le competenti istituzioni locali, nazionali, transalpine ed europee, al fine di stimolare un dibattito pubblico e promuovere un miglior contemperamento fra l’applicazione della disciplina comunitaria in materia di concorrenza con un modello di sfruttamento idroelettrico che valorizzi la natura pubblica del bene e favorisca modelli di gestione che prevedano il coinvolgimento degli Enti locali;
2. a integrare le argomentazioni sopra esposte, qualora l’opportunità, le esigenze espositive o altri spunti di approfondimento lo richiedano, nella direzione interpretativa tracciata;
3. a proporre presso le sedi competenti la definizione di un assetto normativo coerente con la impostazione descritta nel presente atto", il Presidente, Paride Gianmoena