Ma si trattò anche di guerra dell’uomo contro la natura: si stima che le valanghe, nell’inverno 1916-17 uccisero non meno di 10.000 uomini.
Si tratta di un’area di interesse anche per la cosiddetta “archeologia glaciale”, specialità che mira alla salvaguardia di manufatti e resti antropici in alta quota (sopra i 3.000 mt) e che studia la relazione tra la variabilità del clima e l'intensità dell'uso umano dei paesaggi alpini.
In questo contesto si inseriscono, ormai da tempo, i cosiddetti “recuperanti”, appassionati di vestigia della Grande Guerra, che si armano di strumenti, come i metal detector, per rinvenire nel terreno oggetti afferenti a quelle particolari vicende storiche oltreché a beni di natura più prettamente archeologica.
Bisogna però fare attenzione perché, nello specifico settore, esiste una legislazione dedicata che, a partire dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che recepisce la normativa nazionale di settore (L. n° 78 del 7 marzo 2001, “Tutela del patrimonio storico della prima guerra mondiale”), passando attraverso la Legge provinciale 17 febbraio 2003, n. 1, stabilisce regole precise per approcciarsi a questa affascinante attività che dev’essere innanzitutto svolta al di fuori di “aree archeologiche” e nei siti individuati quali “cimiteri di guerra” dove è assolutamente vietata. La raccolta e la ricerca di beni mobili di questa natura è consentita, purché si tratti di reperti e cimeli individuabili a vista o affioranti dal suolo (la legge vieta esplicitamente il distacco e l'appropriazione d'iscrizioni e cippi della Grande Guerra). Inoltre, chiunque rinvenga o possieda reperti mobili o cimeli relativi al fronte terrestre della Prima Guerra Mondiale “di notevole valore storico o documentario” deve ottemperare all'obbligo di comunicazione, entro sessanta giorni dal ritrovamento, al Comune del luogo della raccolta, indicandone la natura, la quantità e, ove nota, la provenienza, potendosi configurare, in caso contrario, il reato previsto dall’art. 518-bis (furto di beni culturali) che sanziona anche la condotta di chi si impossessa di beni culturali appartenenti allo Stato, in quanto rinvenuti nel sottosuolo.
Nelle foto Punta dell’Orco con resti di materiale bellico nei pressi della cima; resti di baracca individuati lungo il versante orientale il Corno di Cavento; fasi del monitoraggio della baracca sul Cevedale Cima del Monte Cevedale e la baracca della prima Guerra Mondiale protetta e messa in sicurezza in previsione di un intervento di recupero da parte della Soprintendenza di Trento; Cresta del Crozzon di Lares e l’area crepacciata del suo versante occidentale.
"Di fondamentale importanza - concludono i carabinieri - la correttezza di comportamento da parte di coloro che ricercano questo tipo di materiale, perché la mancata comunicazione del rinvenimento alle Autorità preposte, che deve essere effettuato in maniera tempestiva, determina la nefasta conseguenza di perdere informazioni utili a ricostruire le vicende storiche di quel tragico".