L'Agenda delle Valli

WIRED Next Fest Trentino

Inizio: 05/10/2025 dalle ore 23:00 - Fine: 05/10/2025 alle ore 23:30 IT
Non ci sono soltanto guerre e povertà a muovere i migranti: il cambiamento climatico sta diventando (anzi, è già realtà) una nuova forma di migrazione, un fenomeno che si è manifestato a livello mondiale ma anche locale, in Italia. E le migrazioni diventano un laboratorio vivente per testare le tecnologie della sorveglianza, per applicare l'intelligenza artificiale per il controllo della mobilità in maniera discriminatoria. Nascono così le "frontiere della disuguaglianza", barriere fisiche ma anche sociali, tema dell'incontro e del confronto al WIRED Next Fest Trentino con Angelica De Vito, consulente diplomatica per lo studio delle migrazioni climatiche e collaboratrice delle Nazioni Unite, e Fabio Chiusi, giornalista, ricercatore e saggista di culture e politiche del digitale.

"Manca una definizione dal punto di vista giuridico di migranti climatici: il concetto di migrazione oggi si va a contrapporre ad un altro diritto, molto più silente, a quello dello Stato Chi scappa non ha scelta, chi lascia il proprio territorio perché l'acqua è inquinata o non c'è proprio lo fa dopo aver valutato tutte le possibili "alternative" nel proprio territorio, dopo aver valutato se potrà essere in grado o meno di tornare. Il concetto di temporaneità - ha sottolineato De Vito - non può essere più applicato e quindi la scelta di spostarsi diventa permanente. Il concetto di migrazione è cambiato e per migrazioni climatiche il percorso più auspicabile è quello di creare uno status ad hoc”.

Le migrazioni climatiche sono un fenomeno che si applica anche in Italia come ha evidenziato De Vito ricordando come "dalla Sicilia e dall'Emilia Romagna molte persone hanno deciso, o ci stanno pensando, di andarsene: nel primo caso per la crisi idrica, nel secondo per i ripetuti episodi di alluvioni che, al contrario di analisi e studi del passato, si stanno sempre più intensificando: questo significa che c'è bisogno di nuovi modelli di tecnologia per monitorare i fenomeni”.

Tecnologia che se da un lato è sicuramente preziosa, dall'altro svela il suo lato oscuro, come ha spiegato Chiusi autore de La fortezza automatica, se l'IS decide chi può varcare i confini.
“Le tecnologie della sorveglianza vengono usate per identificare chi migra, ma spesso e volentieri decidono chi può migrare e questo dà vita a politiche discriminatorie. Il rischio, non ipotetico ma già diventato realtà, è che l'IA diventi la longa manus  della politica. Non si può dare la colpa alla tecnologia ma a chi la gestisce, a chi la usa a propri fini per discriminare le persone e nello stesso tempo creare consenso politico. Il problema è la visione: la tecnologia non può essere concepita come la soluzione all'immigrazione e in generale a tutti i problemi sociali. Purtroppo c'è tutta una visione che viene da lontano, che arriva da dittature militari, dalla volontà di creare un clima spesso di terrore che vede nell'Altro il nemico, la minaccia, l'invasore. Una paura creata scientificamente, mediaticamente, politicamente che vede nella tecnologia lo strumento per imporre il proprio potere e la propria forza nello disprezzo delle norme morali e del diritto internazionale che si vuole distruggere”.

In questo modo, è l'analisi del professore, si stanno creando “tutte le condizioni, anche nei Paesi democratici, per andare verso la globalizzazione di prassi che portano verso quella normalizzazione di idee e di prassi che si svolgono tramite tecnologie di repressione che una volta chiamavamo autoritarie con la scusa di proteggere la popolazione dal rischio di terrorismo, dall'invasione e dall’Altro".
E a quelle che sono state chiamate  le "fortezze automatiche" in costruzione in tutto il mondo che chiudono i confini, che respingono la mobilità umana tramite le più innovative tecnologie intelligenti la risposta può arrivare dalle “comunità empatiche del coraggio - così definite dal professor Chiusi - per sottolineare il rifiuto a qualunque forma di determinismo tecnologico, specie sulla pelle dei più vulnerabili, e chiedere con urgenza copiose iniezioni di trasparenza, partecipazione, ascolto e dibattito democratico nel modo in cui le tecnologie intelligenti dovrebbero essere impiegate ai confini e per la gestione dei movimenti delle persone: una risposta all'impero automatico della paura”.

Permacrisi, insicurezza e instabilità: le nuove generazioni sono bloccate?

Sono tanti i fattori che oggi influenzano, spesso negativamente, il rapporto tra nuove generazioni e mondo del lavoro. Dalle crisi internazionali fino alle dinamiche prettamente locali, per i ragazzi il contesto è decisamente complesso. E rispetto a ciò, quanto pesano l’approccio e il pensiero dei lavoratori più anziani? Ne hanno discusso la direttrice del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento, Gabriella Berloffa, in compagnia di Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, durante l’ultima giornata del WIRED Next Fest di Rovereto.

Dall’inizio alla chiusura del WIRED Next Fest, uno dei temi centrali è stato quello delle giovani generazioni. Strettamente connesso al mondo del lavoro. Ancora una volta sono i dati a dare un quadro chiaro della situazione: oggi solo il 18% dei lavoratori italiani ha tra i 25 ed i 34 anni, mentre nel 2004 erano ben il 27%. Dunque, quali spazi possono trovare oggi le nuove generazioni?

“La vera crisi si è verificata circa dieci anni fa, tant’è che nell’ultima decade nonostante un recupero lento non abbiamo ancora visto l’occupazione tornare al livello dell’inizio di questo millennio – ha spiegato Berloffa. – Oggi i ragazzi vivono in un contesto di grande incertezza, sotto molti punti di vista: fattori geopolitici, velocità del cambiamento tecnologico, ma soprattutto molta più insicurezza. In particolare quella legata alle relazioni personali, soprattutto dopo la pandemia e la diffusione di strumenti tecnologici che rendono i giovani sempre più ansiosi e impauriti nell’affrontare i rapporti umani. La vera sfida è quella di riuscire a creare una sinergia tra generazioni diverse che hanno competenze e valori differenti, ma serve trovare un punto di connessione e incontro. Perchè i giovani oggi sono molto diversi tra loro, hanno esigenze altrettanto diverse ma con un obiettivo ben chiaro, cioè avere la possibilità di dare un contributo positivo”.

Un punto questo su cui si è detto d’accordo il professor Rosina: “I giovani non possono essere copie sbiadite dei loro genitori o di chi sta per andare in pensione. Vogliono mettere in discussione l’esistente in ogni settore, dal mondo del lavoro a quello della politica. Noi purtroppo stiamo bloccando le nuove generazioni, in un secolo che, tuttavia, dovrebbe dare loro molte più opportunità rispetto al precedente. Come è possibile? Vogliono portare il cambiamento, ma sono ancora fortemente condizionati dall’inerzia del secolo scorso. Un senso di permacrisi che sta frenando le generazioni che oggi si approcciano al mondo del lavoro. Su questo, dobbiamo sbloccarci e dare la possibilità ai ragazzi di essere soggetti attivi in ciò che fanno, per permettere loro di dare un senso alla propria vita e far sì che producano valore all’interno del loro lavoro”.

Lo stesso Rosina ha insistito proprio sul concetto del ‘blocco’ che stanno vivendo i giovani di oggi. Non solo nel mondo del lavoro, ma già nei primi anni in cui si approcciano all’istruzione: “È la scuola, in primis, che deve ripensarsi perché non ha ancora capito che la metodologia di apprendimento dei ragazzi è completamente diversa rispetto al passato. Pensiamo ad esempio alle tecnologie: se non si permette ai ragazzi di confrontarsi con esse in modo pratico e non più solo teorico, finiranno con il subire queste evoluzioni e il cambiamento”. Ecco allora che i giovani si trovano spesso costretti a cercare altre strade, come andare a lavorare all’estero. “Le esperienze internazionali sono una possibilità concreta per la ‘costruzione della persona’ e noi stessi, all’università, le incentiviamo – ha concluso Berloffa. – Ma l’obiettivo non deve essere quello di impedire che i giovani facciano questa scelta, bensì creare le condizioni per consentire loro di tornare nel nostro Paese ed anzi, magari attrarre anche ragazzi da altre realtà”.

Il WIRED Next Fest Trentino è organizzato da WIRED Italia in partnership con la Provincia autonoma di Trento – Assessorato allo sviluppo economico, lavoro, famiglia, università e ricerca - Trentino Marketing, Trentino Sviluppo, Azienda per il Turismo Rovereto, Vallagarina e Monte Baldo, Comune di Rovereto. 
Lavora alla costruzione del palinsesto il Comitato scientifico presieduto dall'Head of Content di WIRED Italia, che vede la partecipazione dell’Università degli Studi di Trento, della Fondazione Bruno Kessler, della Fondazione Edmund Mach, della Fondazione Hub Innovazione Trentino, dell’Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa - IPRASE e del MUSE - Museo delle Scienze.

Energia che amplifica la mente, HIT porta al WIRED Next Fest un dialogo sull’intelligenza artificiale come leva cognitiva e culturale

L’intelligenza artificiale non come sostituto dell’essere umano, ma come energia che ne amplifica le capacità, stimolando nuove forme di pensiero, di conoscenza e di immaginazione. È questo il messaggio al centro del talk “Energia che Amplifica la Mente”, promosso da Fondazione HIT nell’ambito del WIRED Next Fest 2025, dedicato quest’anno al tema “Energie”. C’è un’energia che non si misura in volt o in watt, ma nei battiti della curiosità, nei lampi di intuizione, nella forza di immaginare il nuovo. È l’energia che muove la ricerca nei laboratori, che spinge gli studenti a fare domande sempre diverse, che guida le istituzioni quando cercano soluzioni per il futuro. È l’energia della conoscenza, che trasforma le percezioni in scoperte e idee in innovazione. Ma che cosa accade quando questa energia incontra una tecnologia capace di estendere lo sguardo umano oltre i suoi limiti naturali? È la domanda che ha attraversato il panel “Energia che Amplifica la Mente”, promosso da Fondazione HIT. A dare voce a questa riflessione sono stati Cristiano De Nobili, fisico teorico ed esperto di intelligenza artificiale, e Maria Chiara Malaguti, neurologa e co-chair della Task Force dell’European Academy of Neurology sull’IA in medicina. “Il grande equivoco è pensare all’intelligenza artificiale come a un ‘altro da noi’ che compete con le nostre capacità. In realtà, se usata in modo consapevole, è uno strumento cognitivo: ci aiuta a riconoscere pattern, esplorare ipotesi e generare scenari. È un telescopio mentale: non vede al posto nostro, ma ci permette di guardare più lontano.”” Ha spiegato Cristiano De Nobili. Non la rapidità delle risposte, dunque, ma la capacità di generare nuove domande e aprire scenari inattesi: questa, secondo il fisico, è la vera forza di una tecnologia che può stimolare immaginazione critica e ampliamento del pensiero. La sfida, pertanto, non è solo tecnologica, ma soprattutto culturale: è necessario sviluppare un’alfabetizzazione diffusa che renda i cittadini capaci di interrogare l’IA, senza subirla. Serve una capacità collettiva di stabilire principi, pratiche e spazi di confronto che ne orientino l’uso verso obiettivi condivisi e inclusivi. Una visione che trova applicazioni dirette nella medicina, come ha sottolineato Maria Chiara Malaguti, “Non siamo più davanti a un semplice supporto diagnostico, ma a un cambio di paradigma. L’intelligenza artificiale ci porta verso una medicina predittiva e personalizzata, capace di individuare traiettorie di rischio ancora prima che compaiano i sintomi. L’IA ci aiuta a leggere meglio la complessità, ma resta imprescindibile la figura del medico”, ha spiegato. Per la neurologa, il vero salto non sta solo nella potenza degli algoritmi, ma nella possibilità di integrare dati e conoscenze per costruire una medicina più vicina alla persona. E l’umanesimo digitale, ha ribadito, non è un’utopia, ma un requisito di qualità: senza la dimensione umana, la tecnologia rischia di essere tecnicamente valida ma clinicamente inefficace. Il dialogo tra prospettiva teorica e prospettiva clinica ha restituito una visione convergente: l’intelligenza artificiale non sostituisce, ma abilita. Abilita nuove forme di pensiero critico, nuovi paradigmi terapeutici e diagnostici, nuove modalità di relazione tra scienza e società. Non è una minaccia né una panacea, ma una tecnologia cognitiva che, se guidata da criteri etici e responsabilità sociale, può diventare un dispositivo culturale e un alleato per immaginare il futuro. In questo scenario, Fondazione HIT ha portato al WIRED Next Fest uno spunto di riflessione che non è solo tecnico, ma culturale. Perché parlare di energia oggi significa anche parlare di idee, immaginazione e conoscenza. E se l’intelligenza artificiale può davvero amplificare la mente, allora il compito delle istituzioni è creare spazi dove queste visioni possano prendere forma, incontrarsi e diventare innovazione concreta. È qui che HIT ritrova la sua missione: trasformare le energie della ricerca e del sapere in strumenti capaci di orientare il futuro in modo inclusivo e condiviso.

L'IA non va temuta: bisogna conoscerla per poi utilizzarla al meglio


"Osannare l'Intelligenza artificiale in maniera acritico o, per contro, temerla e ripudiarla nella maniera più assoluta sono due posizioni estreme tra le quali c'è una via di mezzo, un modo di intendere e di approcciarci all'IA consapevoli che si tratta di uno strumento e, come tale, deve essere compreso prima di essere giudicato". Alfio Quarteroni, matematico insignito della Blaise Pascal Medal 2024 dal palco del teatro Zandonai di Rovereto, ospite del WIRED Next Fest Trentino 2025, è partito da un concetto nato 70 anni fa sulla relazione tra scienza e tecnologia per arrivare ai giorni nostri ("con un percorso abbastanza accidentato") e prospettare scenari futuri.
"Tra alti e bassi siamo arrivati ad un progetto di intelligenza artificiale ristretta che si muove  su obiettivi specifici. Il dibattito è aperto su come si possa arrivare all'intelligenza generale che sarebbe in grado di replicare in tutto e per tutto all'intelligenza umana se non addirittura arrivare alla superintelligenza che supererebbe l'intelligenza umana. Ma qui siamo ancora nel campo dell'immaginazione" ha affermato il matematico.
Ma come si manifesta oggi l'IA? Quanti dati ha a disposizione? Quale impatto ha sulla nostra vita? Come fa una macchina ad essere intelligente?
"L'IA è esplosa tra le mani negli ultimi anni grazie alla disponibilità di 175 mila miliardi di miliardi di dati che si codificano in numeri e parole, una quantità gigantesca che nutrono l'IA e sono il carburante della sua conoscenza che si estrae  con gli algoritmi dinamici che cambiano in funzione del contesto e dell'esperienza. Supererà l'intelligenza umana? E se sì, quando? Ci sarà un momento di non ritorno" si è chiesto Quarteroni. "Al momento non siamo in grado di dirlo, ma sappiamo che le macchine apprendono secondo un meccanismo che è tipico nei bambini. Un bambino piccolo, ad esempio, impara con facilità una lingua straniera senza conoscere la grammatica e le regole perché ha i genitori che parlano quella lingua. E lo stesso fa la macchina che impara a riconoscere i dati vedendo passare un certo numero di informazioni o di foto".
Ma è dunque confrontabile l'IA con l'intelligenza umana? "No, assolutamente - è stata la risposta - Ad esempio un ragazzo di 18 fa lezioni di guida e impara a guidare l'automobile, mentre non esiste alcuna macchina in grado di muoversi in maniera completamente autonoma. Di converso la macchina ad esempio riesce a fare in pochissimo tempo il sunto di un file di migliaia di pagine o ad identificare la presenza di un tumore".
In sostanza quale può essere l'approccio alla nuova tecnologia? Dobbiamo temerla o possiamo governarla e renderla utile alla nostra vita quotidiana? "Noi siamo utenti di questa tecnologia che magari è molto difficile da capire, non è qualcosa di intuitivo e quindi la formazione è fondamentale. Non la formazione su come funzioni, ma la formazione su cosa noi possiamo pensare di avere e cosa non  è lecito pensare di ricevere da questa cosa. La formazione deve iniziare molto, molto presto. Quindi credo che tutti dobbiamo vederla come una grandissima opportunità: l'energia elettrica ci ha dato la possibilità di illuminare una stanza o riscaldarci ma diventa un pericolo se mettiamo le dita nel posto sbagliato... Dobbiamo avere questa conoscenza di base e credo che il modo migliore di farlo sia a livello scolastico istruendo i nostri ragazzi fin dall'inizio: non dobbiamo avere paura - ha spiegato il noto matematico - di affrontare questi problemi il più in fretta possibile e in modo più graduale possibile. Senza un grado di conoscenza la tecnologia ci spaventerà perché tutto quello che non conosciamo ci spaventa".
Ma come facciamo a comprendere quando l'IA è attendibile o quando ci inganna? "Attenzione: quando si parla di IA si parla di un molosso che si muove per obiettivi e che se si cambiano obiettivi cambiano anche gli algoritmi dell'IA. Se devo usare l'IA a bordo di una macchina a guida autonoma, io pretendo che sia attendibile ed accurata, se la uso per creare testo l'accuratezza non la pretendo ma chiedo l'originalità, la fantasia. Dobbiamo quindi sapere bene che ci sono tanti tipi di algoritmi di IA che hanno obiettivi differenti e per ognuno di questi obiettivi - ha concluso Alfio Quarteroni - devo pretendere di conoscere quale libello di accuratezza a me serve in quello specifico momento". 

Woke, alt right e cancel culture: come cambia la società (e i suoi termini)

I cambiamenti della società odierna si riflettono in posizioni spesso polarizzate e agli antipodi, schieramenti che si basano su termini nuovi e, nella maggior parte dei casi, divisivi. Dal woke alla cancel culture, gli Stati Uniti in questo stanno giocando un ruolo da protagonisti. Anche con riferimento alla cronaca recente, come l’omicidio di Charlie Kirk. Ne hanno discusso a Palazzo del Bene, nel corso dell’ultimo pomeriggio del WIRED Next Fest, Raffaele Alberto Ventura (ricercatore al Laboratoire d’anthropologie politique dell’École des hautes études en sciences sociales di Parigi) ed il giornalista e scrittore Davide Piacenza.

La società sta cambiando e, con essa, anche le sue terminologie. Un passaggio che sta portando alla formazione di veri e propri schieramenti spesso in forte disaccordo e contrasto tra loro. Un caso emblematico sono i temi al centro del talk che ha coinvolto il ricercatore Ventura ed il giornalista Piacenza: woke, alt right e cancel culture.
“Il woke, per esempio, ora viene chiamato in causa soprattutto dalla destra ma in realtà deriva da un principio promosso dalla sinistra, quello dell’essere ‘svegli’ e consapevoli rispetto alle ingiustizie, alle minoranze e alle difficoltà nell’avere tutti le stesse opportunità – ha spiegato Piacenza. – Oggi invece ‘woke’ è un termine utilizzato soprattutto dai conservatori ed ha ottenuto il significato del volersi ergere a portavoce delle minoranze, ma con una buonafede tutta da verificare. Un approccio che non vuole ottenere progresso, ma correggere gli altri. E qui parliamo, appunto, di ‘politicamente corretto’. Anche la cancel culture oggi viene interpretata come la cancellazione di un personaggio pubblico perché non in linea con il pensiero progressista”.
Un tema questo al quale si è collegato anche Ventura, parlando dei grandi mutamenti avvenuti nella società in tempi recenti: “Ci sono una serie di principi che abbiamo costruito in passato e che ora stanno entrando in crisi. E in questo anche i social hanno avuto il loro ruolo, con contenuti e immagini che, diffondendosi online, sono arrivati a chi ha reagito in modo negativo. Oggi la società è cambiata radicalmente ed è multi-culturale: se per qualcuno un’affermazione è una battuta, altri possono interpretarla come un’offesa. Le condizioni sociali attuali inoltre portano a insoddisfazione e infelicità ed anche questo è un elemento da tenere in considerazione”.
Il dibattito si è spostato poi sul caso dell’assassinio di Charlie Kirk, un fatto che ha aperto nuovamente la discussione attorno alla presa di posizioni nette, anche nel mondo politico: “Pur consci che esistano limiti che non devono essere superati – ha aggiunto Piacenza, – abbiamo visto personalità come Trump o Musk, le quali avevano sempre dichiarato di avere a cuore il valore della libertà di espressione, invocare pene esemplari addirittura verso chi commentava quanto successo. E questo approccio ha ‘risvegliato’ molte persone”.
Attualmente quanto sta accadendo in America viene monitorato con attenzione anche dalla nostra società. In particolare, ha concluso Ventura, rispetto alla ‘importazione’ delle terminologie di cui si è discusso durante il talk: “Ritengo che ciò avvenga perché, negli Stati Uniti, le lotte per il riconoscimento delle minoranze o contro l’oppressione hanno funzionato proprio con strumenti simbolici di questo tipo. E quindi l’idea è che, se importati nella nostra realtà, possano funzionare allo stesso modo per smuovere le cose. Questo perché ci sono domande sociali che vanno ben oltre gli interrogativi economici: siamo nell’era della delusione in cui la classe media è passata da agiata a disagiata, consapevole che la propria ricchezza economica non può metterla al riparo dal disagio esistenziale. Si passa quindi ad una presa di posizioni forte, ma dobbiamo ricordarci che la polarizzazione può essere una risposta ma non la soluzione”.

Libertà di stampa tra nemici e autocensura

In Italia c'è libertà di stampa? Siamo un Paese a rischio? E come si conquista e si mantiene un diritto sancito dalla Costituzione che prevede il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione? Interrogativi sui quali si sono confronti a Palazzo del Ben a Rovereto ospiti di WIRED Next Fest Trentino i giornalisti Lorenzo Bagnoli, direttore di Irpi Media (testata giornalistica non-profit del centro di giornalismo di inchiesta Investigative Reporting Project Italy) e Alberto Nerazzini, giornalista investigativo, documentarista e co-conduttore con Corrado Formigli di "100 minuti" su La 7, già collaboratore di Report su Rai3 e co-fondatore di Dig, festival internazionale che dal 2015 celebra e supporta il giornalismo investigativo. La loro risposta è chiara: "Parlando di libertà di stampa siamo a rischio. Lo dicono i dati delle classifiche, lo confermano le condizioni in cui si trovano a lavorare i giornalisti che svolgono attività di inchiesta e di investigazione".

Cosa accomuna l'Italia con la Repubblica Dominicana piuttosto Seychelles? Ha chiesto provocatoriamente il coordinatore del dibattito. Il sole e il mare? No, la posizione del nostro Paese nella classifica sull'indice della libertà di stampa che vede l'Italia precipitare al 49sima posizione. Sono tanti gli elementi che concorrono a limitare la libertà dei giornalisti, soprattutto free lance. "Non c'è dubbio, siamo a rischio. Scendiamo ogni anno di posizione e siamo gli ultimi tra i Paesi europei. Il tema è sempre quello, legato ad un'editoria e ad una cultura che non c'è molto forte in Italia. Poi c'è la questione delle querele temerarie, delle denunce che le aziende rivolgono ai giornalisti al solo scopo di rallentarne l'attività di inchiesta, le pressioni della politica che si fa sentire, vedi la Rai meravigliosamente controllata dalla politica da sempre. E poi c'è anche l'autocensura che mi dà più fastidio" ha affermato senza mezzi termini Nerazzini. Che ha aggiunto: "Il giornalismo investigativo è delegato ai giornalisti free lance che sono i più fragili senza copertura economica, finanziaria e legale. Questo costa tantissimo in termini di impegno, ovviamente, ma anche di salute, di cause civili e penali, un prezzo alto da pagare se vuoi fare il giornalista perché è normale che un giornalista dia fastidio".
Lo sa benissimo Nerazzini, bersagliato da denunce e minacce, e lo sa altrettanto bene il collega Bagnoli che tra l'altro ha ricordato il collega Giancarlo Siani ucciso giusto 40 anni fa dalla camorra e altri giornalisti, italiani e stranieri, vittime di pressioni da parte della politica e dei poteri criminali. "Avere un numero così elevato di giornalisti minacciati, oltre 500, significa avere dei giornalisti che non riescono più a fare il loro lavoro perché quando una persona è minacciata e quando magari ci sono delle forme di protezione, anche per tenere sotto controllo il giornalismo che stanno facendo, non si possono tenere più i rapporti con le fonti e quindi diventa tutto estremamente complicato: questo - ha evidenziato Bagnoli - è il risultato che ottiene chi mette sotto minaccia il giornalismo pur rimendo soltanto nell'ambito dell'intimidazione".
"Sono tantissimi i modi per minacciare anche in maniera subdola un giornalista" ha aggiunto Nerazzini ricordando il "preziosissimo il lavoro svolto da Ossigeno per l'informazione" (osservatorio promosso da Federazione stampa italiana e Ordine dei giornalisti). E non ci sono solo "le minacce fisiche o legali ma anche quelle tecnologiche che tagliano le gambe ad un giornalista: avere i mezzi, lo spazio, la libertà per rispettare le regole base del giornalismo d'inchiesta che è sempre più difficile in Italia". Per non parlare "delle richieste economiche spropositate, dell'accesso negato agli atti, delle azioni intimidatorie".Per quanto riguarda la tutela dell'attività giornalistica  la direttiva europea che riguarda il fenomeno delle azioni giudiziarie intimidatorie (conosciuta come Slapp) non è ancora recepita dall'Italia."Non c'è la possibilità di rivalersi nei confronti di chi ha aperto una querela temeraria: su questo anche noi aderiamo alla campagna delle associazioni dei giornalisti perché bisogna colpire l'elemento economico per cercare di interrompere questo fenomeno" hanno affermato i due giornalisti.
"E' giusto tenere alte le antenne quando si guarda la televisione o si legge un quotidiano - ha concluso Nerazzini - Bisogna saper guardare anche nelle pieghe dell'informazione che viene data: c'è tanta spettacolarizzazione nella nostra informazione. Siamo sicuri che ci sia totale libertà per fare un giornalismo investigativo senza limiti? Io finora non ho avuto problemi, ma è giunta l'ora di pensare anche a costruire delle piattaforme che possano diventare editori nuovi e inediti".
In un quadro a tinte chiaroscure cosa direbbe Bagnoli ad un giovane che vuole intraprendere il percorso per diventare giornalista?  "Spazi ci sono, la questione è che questo lavoro si può fare in mille modi. Non dico che si debba partire dal giornalismo investigativo: il consiglio è quello di imparare per poi fare quello più adatto alla propria sensibilità. Rispetto al passato vedo che c'è un'apertura. La situazione è molto complicata, ma il margine c'è e ne vale la pena".

Il WIRED Next Fest Trentino è organizzato da WIRED Italia in partnership con la Provincia autonoma di Trento – Assessorato allo sviluppo economico, lavoro, famiglia, università e ricerca - Trentino Marketing, Trentino Sviluppo, Azienda per il Turismo Rovereto, Vallagarina e Monte Baldo, Comune di Rovereto.
Lavora alla costruzione del palinsesto il Comitato scientifico presieduto dall'Head of Content di WIRED Italia, che vede la partecipazione dell’Università degli Studi di Trento, della Fondazione Bruno Kessler, della Fondazione Edmund Mach, della Fondazione Hub Innovazione Trentino, dell’Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa - IPRASE e del MUSE - Museo delle Scienze.
Ultimo aggiornamento: 05/10/2025 23:09:12