LOVERE (Bergamo) - Aprirà al pubblico sabato 28 giugno la mostra che l’Accademia Tadini dedica a Francesco Hayez, protagonista della pittura italiana dell’Ottocento, nell’ambito della rassegna Ospiti giunta al terzo capitolo. Dopo Antonio Canova e Angelo Morbelli, la mostra porterà a Lovere sei opere di Francesco Hayez: quattro ispirate alle vicende avventurosa di tre eroine romantiche e due autoritratti, che si aggiungono all’importante nucleo di opere tarde dell’artista conservate presso il Museo dell’Ottocento.
Due sono i due temi che percorrono la mostra: «Hayez fu il primo pittore che aprì alle menti il mondo cavalleresco. Egli fu il primo a condurre i dotti e il popolo in quel mondo, sospiro dei poeti e, più ancora, delle donne romantiche, fra guerrieri e dame, trovatori e romei.» Con queste parole Antonio Rodani nel 1874 riconosce nel pittore veneziano l’artefice di un nuovo repertorio romantico, alimentato dalla storia medievale e dal romanzo moderno, le cui eroine sono al centro di travolgenti passioni, spesso dagli esiti fatali, in sintonia con la sensibilità dell’epoca.
La rassegna dedicata alle eroine romantiche, sempre raffigurate nel momento dell’addio, si apre con il mito di Giulietta e Romeo, entrato nell’immaginario ottocentesco fino a raggiungere una dimensione universale. Hayez rappresenta due volte il soggetto, nel 1823 (è la versione per Giovanni Battista Sommariva) e nel 1833 (ora in collezione privata). Il successo della composizione è attestato da un raffinato acquerello di collezione privata che ripropone i dettagli essenziali delle opere maggiori.
La ripresa, anche a molti anni di distanza, dei temi più fortunati della stagione romantica contraddistingue la continua sperimentazione dell’artista sui propri mezzi espressivi. La vita avventurosa di Louise de La Vallière, cortigiana per lungo tempo amante prediletta del re di Francia Luigi XIV, gli ispira ad esempio nel 1838 una tela da poco rinvenuta e anch’essa presente in mostra, la quale aveva suscitato l’interesse della critica più attenta, che la definì «una graziosa composizione di sole tre figure che spiccano sul davanti della scena, ed hanno un mirabile effetto». Un soggetto che ha goduto di grande popolarità in Francia, tra l’Impero e la Restaurazione, e pure in Italia, come testimoniano i dipinti presentati alle esposizioni di Brera fino agli anni Sessanta.
Ospite d’eccezione dell’Accademia Tadini è Imelda de’ Lambertazzi, monumentale dipinto del 1853, che rappresentata l’incontro tra Imelda, di famiglia ghibellina, e Bonifacio dei Geremei, appartenenti a una famiglia di tradizione guelfa, ambientata nel quadro delle lotte municipali del Medioevo a Bologna. Hayez coglie il momento che precede l’agguato mortale dei fratelli della protagonista. La fortuna dell’argomento è testimoniata dalle molte attestazioni letterarie, in prosa, in rima e in musica. In particolare, ricordiamo il racconto di Defendente Sacchi, I Lambertazzi e i Geremei, del 1830, e nello stesso anno la messa in scena dell’omonimo melodramma musicato da Gaetano Donizetti nel 1830.
Proprio l’Imelda dei Lambertazzi, oggi riconosciuto come uno dei capolavori del pittore, era stato soggetto a critiche in occasione dell’esposizione presso l’Accademia di Brera perché sentito come “estraneo” all’esigenza di una pittura di storia in grado di ispirare sentimenti patriottici (si era nel difficile periodo tra la Prima e la Seconda Guerra d’indipendenza): Hayez risponderà da par suo, nel 1859, con il celebre Bacio (Milano, Pinacoteca di Brera), in rapporto con l’acquerello presente in mostra: il commiato tra due giovani, ambientato in un contesto genericamente medievale, anticipa o – secondo altri – ripropone l’iconografia presentata nel celebre dipinto nel 1859, nel quale condensa la passione che ha accompagnato la nascita dell’Italia unita.
La mostra affronta quindi il tema della produzione dell’ultimo Hayez e della sua concezione della pittura intesa come ricerca, in dialogo con le più avanzate esperienze artistiche milanesi. Dopo il clamoroso successo del Bacio, Hayez si distacca progressivamente dalla vita pubblica, continuando però a mantenere un rapporto con la nipote, Carlotta Martinolli, che aveva sposato il notaio loverese Enrico Banzolini, costretto a lasciare Venezia e il proprio impiego all’archivio notarile perché si era arruolato come volontario nei Cacciatori del Sile in difesa della Repubblica di San Marco (1848-1849).
Un gruppo di lettere, pubblicate negli scorsi anni dall’Accademia Tadini, racconta lo stretto legame tra lo zio ed i nipoti, con i quali discuteva anche di politica e di ideali libertari. Proprio a Carlotta si deve la decisione di lasciare al museo i quadri a lei donati dallo zio, destinandoli alla pubblica fruizione.
Un significativo nucleo rappresentativo della tarda attività dell’artista, che comprende la Madonna del 1869, l’intenso Autoritratto, concluso intorno al 1878 e il solenne Ecce Homo tra il 1867 e il 1875, che rappresenta l’estrema riflessione dell’artista sulla storia.