Se il denaro diventasse strumento per creare servizi e opportunità ne guadagnerebbero tutti e avremmo un mondo migliore”.
“Viviamo nell’incertezza e il Covid ha peggiorato le criticità sociali già esistenti; quanto abbandono abbiamo dato in questi anni alle persone più deboli”, ammette lo psico-geriatra Marco Trabucchi in avvio della sua relazione su “La solidarietà sociale… per fare in modo che i vecchi non siano umiliati e offesi”. “La solitudine dei vecchi è stata drammatica nelle case, nelle RSA, negli ospedali. La solitudine indotta dalla morte. La solitudine nei famigliari, nei caregiver. La desertificazione della città indotta dal Covid – sottolinea, evocando anche passaggi del suo ultimo libro “L’anziano e la città” (ed. Erickson) – ha fatto esplodere il fenomeno. Si prevede che nel 2025 negli Usa il problema degli anziani senza casa sarà ingestibile”.
“La costruzione di solidarietà sociale – argomenta il noto psico-geriatra – diventa inderogabile. Credo che una comunità solidale verso i vecchi, prima e dopo Covid, possa costituire la differenza, pur di fronte alla crisi dei servizi e all’incertezza della politica. La logica della sindemia ci dice che se curiamo bene il virus e non ci curiamo della casa e della città, della strada e della famiglia ci fermiamo a metà. Volete curare? Dovere curarvi!”.
Citando Edgar Morin, Trabucchi ricorda che “per costruire una società che unisce occorre sempre più intelligenza – capacità tecnica, come quella medica –, ma al contempo sempre più amore”. E delinea poi un “che fare?” in quattro punti: costruire una cultura della dignità della persona indipendentemente dall’età; attuare una politica seria; nutrire l’orgoglio per aver salvato le nostre comunità grazie al lavoro di medici, infermieri, psicologi, mondo religioso e dell’impegno civile; costruire servizi adeguati con grande attenzione: l’uso della telemedicina, ad esempio, ci espone a molte problematiche, potrebbe rivelarsi un momento di rottura della solidarietà sociale”.
“La solidarietà sociale – conclude Trabucchi – fa bene a chi si impegna e dà senso alla persona che la dona, ma è molto importante anche per chi la riceve. Una parola scambiata vale più della cura del colesterolo: lo dice anche la letteratura scientifica. Dobbiamo permettere alla persona anziana di vivere una vita di significato, più serena e concretamente più lunga”.
A un dibattito arricchito dai contributi degli ospiti presenti ad invito (esponenti autorevoli del mondo socio-sanitario) segue la conclusione di Pier Paolo Benetollo, direttore generale Apss, che sottolinea anzitutto “l’impegno dei tanti operatori che stanno lavorando in maniera intensa per circoscrivere i tantissimi focolai che ci sono in Trentino”.
“Credo – spiega, riprendendo un termine ricorrente nel dibattito – che la fraternità sia connaturata all’essere professionista sanitario. Non è un’affermazione di principio, ma quanto abbiamo verificato nell’emergenza: infermieri che non sono rientrati a casa per non contagiare la famiglia, professionisti che si sono inventati modi per essere vicini ai malati e ai familiari, sanitari che hanno stretto la mano delle persone morenti. Questo è stato riconosciuto anche da parte della comunità trentina”. “La sanità – sostiene Benetollo –, nella misura in cui è scienza, funziona non perché c’è qualcuno che ha una verità ma perché ci si confronta. Quanto al dato finanziario che domina su tutto, ricordo che i trentini hanno donato dieci milioni all’Apss: dalle grandi aziende, alle persone più semplici. È un grande valore”.
In merito alle politiche nelle RSA, “si tratta – precisa il direttore generale – di scelte difficili. Sono tra quelli che prenderanno decisioni, mettendo però al centro la dignità delle persone. Sono orgoglioso di rappresentare un’Azienda che da 32 posti di terapia intensiva è passata in pochi giorni a 101 posti. Uno sforzo enorme: abbiamo l’orgoglio di dire che, delle persone che in Trentino avevano bisogno di terapia, non è rimasto fuori nessuno. Oggi non è ragionevole pensare di tornare alla situazione di emergenza iniziale”.
Tra le tante incertezze su Covid, ricordate da Trabucchi, Benetollo individua però anche “due certezze: se stiamo a 1 metro e mezzo di distanza e, quando non è possibile, mettiamo la mascherina, il virus non passa. Questo è un messaggio da dare con forza a tutti. In questo momento abbiamo tanti casi e pochi ricoveri perché le persone anziane hanno imparato e sono quelle che rispettano le regole. Sono loro che ci stanno salvando comportandosi meglio dei giovani. Se manteniamo distanza e mascherina, salveremo persone e consentiremo di vivere meglio questa fase come un’esperienza che arricchisce la nostra comunità”.
L’incontro si conclude con l’indicazione condivisa di prevedere altri appuntamenti seminariali su tematiche specifiche – dalla demenza senile alla condizione giovanile – che sia la Diocesi che l’Azienda sanitaria ritengono urgenti nel cantiere del dopo Covid.