Esse violano altresì l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, con riguardo alla materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, nonché gli articoli 42 e 43 della Costituzione i quali impongono alla legge di riconoscere un indennizzo ai privati che subiscano limitazioni nella disponibilità di beni di loro proprietà o necessari per lo svolgimento di un’attività d’impresa”.
LA LEGGE REGIONALE - Lo scorso aprile con la nuova legge regionale erano state stabilite le modalità di assegnazione delle grandi concessioni idrolettriche e che indica le procedure con le quali la Regione effettuerà l’assegnazione delle concessioni alla loro scadenza, definendo i valori dei canoni fissi e dei canoni variabili.
La legge regionale prevedeva altresì una serie di obblighi nella gestione futura: tra questi l’utilizzo delle acque invasate per sostenere le portate dei corsi d’acqua, i livelli dei laghi ai fini ambientali e agricoli o per fronteggiare le eventuali situazioni di crisi idrica, e il riassetto territoriale e viabilistico. Molti dei criteri e degli obblighi sono riferiti ai bacini idrografici sui quali insistono le centrali. Sui canoni era previsto il trasferimento annuale alle province, sul cui territorio insistono gli impianti, di almeno l’80% del canone introitato dai concessionari: la legge statale indicava una quota pari al 60%, elevata in Lombardia all’80%
La legge nazionale del 2018 prevedeva che, una volta scadute le concessioni in essere, la proprietà delle dighe e dei grandi invasi fossero attribuite direttamente alle Regioni, alle quali spettava legiferare entro il 31 marzo 2020 sulle modalità di assegnazione e avviare i bandi entro i 2 anni successivi. La norma statale stabiliva inoltre che fossero le Regioni a definire il canone di concessione, introducendo una quota fissa e una variabile, quest’ultima legata alla produttività e redditività.
Tra l'altro nel decreto rilancio il ministro Boccia aveva ipotizzato una proroga della "vita legale delle grandi concessionarie idroelettriche per dieci anni". La sollevazione dei rappresentsanti di Regioni, Province e Comuni ha sventato "lo scippo". Ora il nuovo colpo di scena e le reazioni sull'impugnazione non si sono fatte attendere.
SERTORI: GOVERNO CON CONCESSIONARI
"Non sono assolutamente meravigliato che il Consiglio dei Ministri abbia impugnato la Legge regional sull'assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, perche' bastava leggere le bozze di legge del Partito Democratico che recentemente hanno cercato di far approvare. Evidentemente c'e' chi sta dalla parte dei territori e chi dei concessionari, tanto e' vero che una delle proposte di legge del Partito democratico prevedeva il condono tombale di circa 50 milioni di euro di canoni aggiuntivi che i concessionari devono alle Regioni".
Lo dice l'assessore regionale agli Enti locali, Montagna e Risorse energetiche, Massimo Sertori. "La legge nazionale approvata nel 2018, che qualcuno ha avuto il coraggio di criticare - spiega Sertori - e' arrivata dopo vent'anni di assoluta inerzia da parte dei governi che si sono succeduti e che non hanno reputato importante legiferare in materia. Tale legge andava inoltre a sanare l'infrazione comunitaria a carico del nostro Paese. Cio' detto, leggeremo nel merito le osservazioni dell'impugnativa e, qualora ci fossero delle osservazioni accoglibili e sensate avremo modo di valutarle e di recepirle".
"Per le altre - conclude l'assessore - provvedera' la Corte Costituzionale a decidere chi ha ragione. Una cosa e' chiara, ovvero che ci sono due visioni: quella del territorio e della montagna che recita la legge regionale approvata lo scorso 31 marzo, e una che vuole centralizzare tutto a Roma allontanando le risorse dai territori montani e, per quanto legittime, segue palesemente le aspettative dei concessionari".