Breno - Sabato 5 marzo alle 17 sarà inaugurata la mostra personale di Angelita Mattioli “Specchio delle mie brame”, curata da Mauro Corradini. L’esposizione, patrocinata dal Comune di Breno, sarà realizzata nella chiesa di Sant’Antonio dal 5 al 13 marzo, visitabile negli orari dal lunedì al venerdì 15-17 e 20-22, sabato e domenica 10-12, 15-18 e 20-22. Alla vernissage sarà presente l’attore Luciano Bertoli, che leggerà alcuni brani.
PRESENTAZIONE
Nella storia dell’arte, la compresenza di specchio e pittura o, più spesso, la rappresentazione dello specchio in opere di pittura, è una dimensione di usa; rinvia, probabilmente, a molte situazioni, sostanzialmente riconducibili alla presenza “virtuale” dell’oggetto specchiato che, in apparenza, duplica l’oggetto. La contemporaneità, con i suoi voli, ha aggiunto la ri essione, più inquietante, su una nuova virtualità che si declina, nell’opera pittorica, con l’altra “virtualità” costituita dalla pittura: c’è un oggetto, reale, che vedo (vaso, nestra, gura, paesaggio); c’è una virtualità (la mia rappresentazione su tela); c’è sulla tela un’ulteriore virtualità costituita dallo specchio che ri ette e capovolge l’oggetto rappresentato (Magritte, in quest’ambito, ha prodotto più di un’opera).
Il percorso espositivo di Angelita Mattioli nella chiesa di Breno, Specchio delle mie brame, 2016, ripropone, in forme diverse, la coabitazione di pittura (una serie di ritratti), specchio e una catasta di scarpette di ceramica, recuperate da un precedente e assai diverso evento.
Anche in questa mostra, lo specchio di Angelita ha la duplice funzione e aiuta a far slittare l’impianto complessivo dell’esposizione: ciò che vedrà il visitatore non è solo una “mostra di pittura”, ma è sostanzialmente una “installazione”, opera più complessa per sua natura, visto che si adatta all’ambiente e si pone in dialogo con quello.
L’installazione è costituita da una serie di “ritratti” di uguale formato appesi alle pareti; da una serie di ritratti della stessa dimensione distribuiti nello spazio della chiesa, ma collocati su una struttura portante uno specchio con la medesima base; in ne, posto alla ne del percorso, da un accumulo di ceramiche riproducenti scarpe femminili, e proposto nella duplice dimensione della visione diretta e della visione attraverso uno specchio; la complessa installazione, nella sua articolazione, vuole coinvolgere in forme diverse colui che “entra” nell’opera.
Il visitatore, entrato nella chiesa, spazio espositivo particolare ed emotivamente coinvolgente, a mano a mano si accosta ad uno dei tanti ritratti esposti, “appare” in uno dei tanti specchi. Quando giunge al contatto ravvicinato con l’opera, il suo corpo, il suoe il visitatore si riconosce, ma, in questa iniziale e volutamente contraddittoria esperienza, non ritrova il proprio volto.
Il visitatore si ritrova solo no all’altezza dello specchio (140 cm). Sopra, a concludere la gura, la pittrice ha già predisposto un volto, che sostituisce quello reale. In una certa misura, Angelita sembra attualizzare e commentare la cultura del volto; né si scordi – e come faremmo? – che il volto è la parte del corpo che ci restituisce nell’immagine quel che siamo nei documenti d’identità.
Anche se siamo consapevoli che il volto non ri ette esaurientemente la nostra identità, il volto è ciò che cerchiamo accostandoci ad uno specchio. Spesso non ci riconosciamo in alcune tracce, più o meno pesanti, che la storia ci “dipinge” sull’epidermide; per questo, tentiamo di modi carla, facendoci la barba tutte le mattine o lasciandola crescere;
tentiamo di arricchire lo sguardo con segni che circoscrivono l’occhio o con colori che de niscono, al femminile, le nostre labbra; ma il volto, alla ne, è l’immagine della nostra identità.
L’epidermide e il volto sono gli aspetti che ci connotano, importanti, da occultare o evidenziare. Nell’installazione di Mattioli, vediamo il nostro corpo, per come lo presentiamo, con i vestiti che abbiamo scelto; ma il viso che vediamo o nel quale ci siamo imbattuti casualmente, muovendoci nello spazio dell’installazione, lo ha già scelto l’Autrice. Ci può piacere o non piacere, ci attrae o lo respingiamo, ma è così. Questa “sequenza di volti”, attraverso cui, nel volgere breve di pochissimo tempo, possiamo apparire, non ci appartiene; è solo un prestito temporaneo che ci a ascina o ci inquieta. Cosa vuole da me, Angelita? E da tutti noi che ci muoviamo nel percorso di questa installazione?
Forse vuole troppo o non vuole nulla; forse vuole attrarci perché alla ne ci concentriamo sul volto che ha dipinto; forse vuole ra gurare solo se stessa attraverso mille volti, prendendo a prestito mille corpi; consapevole che alla ne rimane sempre quell’intrigo un po’ contorto di pensieri, quei tratti ritratti, quei percorsi interiori che danno ad ogni istante la stessa immagine e un’immagine diversa. Noi siamo il volto che presentiamo; ma siamo anche il mutevole volto che, conosciamo. Uno, nessuno, centomila, ha detto Qualcuno qualche tempo fa; ma ci sentiamo più spesso nessuno che centomila.