Le differenze relative ai soggetti con contratti di apprendistato vanno interpretate, invece, alla luce del sistema diverso usato in Alto Adige, cioè il duale alla tedesca, che riduce notevolmente i periodi lavorati e i redditi prodotti in apprendistato.
Settori
Guardando ai singoli settori quelli in cui la differenza delle retribuzioni è più marcata tra Trentino e Alto Adige sono il comparto ricettivo e della ristorazione con uno scarto delle retribuzioni medie giornaliere del 20,9% a vantaggio di Bolzano, sanità e assistenza sociale, cioè terzo settore, con +18,6% sempre per Bolzano, attività professionali e tecniche +15,38%. Gli stipendi sono diversi, però, anche nell'industria metalmeccanica con un gap tra Trento e Bolzano pari all'8,39%, che si riduce al 2,08% rispetto al Nordest e al 1,4% rispetto alla media nazionale. È evidente, dunque, che i settori che soffrono maggiormente sono quelli in cui, come il turismo, non c'era un contratto collettivo territoriale - l'accordo è stata siglato solo poche settimane fa -, o i rinnovi contrattuali sono bloccati da troppi anni, basti pensare all'integrativo provinciale delle cooperative sociali. Unico settore in cui le retribuzioni trentine superano quelle altoatesine è il trasporto. Su questo incide in positivo la contrattazione integrativa di cui godono i lavoratori del trasporto pubblico locale in Trentino.
Lavoro povero
Le lavoratrici e i lavoratori trentini sono maggiormente esposti al rischio di essere poveri anche avendo un'occupazione. Un rischio che in Alto Adige, come mette in luce l'analisi di Barbieri e Gioachin, è meno forte. Addirittura la provincia di Bolzano dal 2009 al 2020 è l'unica area geografica in cui si nota un calo del rischio povertà per le lavoratrici. In Trentino, Nordest, Italia e Austria le curve restano costanti e le donne sono sempre più esposte a causa delle retribuzioni più basse. Il rischio povertà è più accentuato per operai e impiegati. In Trentino peraltro la curva sale nel tempo, mentre in Alto Adige decresce.
Donne e giovani
In un Trentino dove le lavoratrici e i lavoratori sono meno pagati, sono i soggetti più fragili sul mercato del lavoro, cioè i giovani e le donne, a subire le conseguenze più pesanti di questa situazione. In particolare per quanto riguarda i giovani in Trentino tra i 20 e i 34 anni hanno un rischio più elevato di avere un contratto precario rispetto all'Alto Adige, al Nordest e all'Austria. Un fenomeno che incide anche sulle retribuzioni e che spiega il più alto rischio di lavoro povero. In questo quadro andrebbe analizzata anche la curva decrescente della natalità in provincia: i giovani non fanno figli perché non hanno un'occupazione sicura né retribuzioni adeguate. In questa logica va da sé che l'attore pubblico dovrebbe investire su meccanismi che da una parte incentivano la stabilizzazione e dall'altra garantiscono sostegno nel tempo alle famiglie con figli. La strada intrapresa fino ad oggi dei bonus nascita non può avere un impatto positivo sulla natalità perché non rimuove gli ostacoli che frenano i giovani a mettere al mondo dei figli. Su questa dinamica si inserisce anche la qualità inferiore del lavoro femminile, che l'analisi dei due sociologi conferma. Le donne in Trentino come in Alto Adige hanno una quota tripla di contratti a tempo parziale
Il commento Cgil Cisl Uil del Trentino
I dati confermano l'urgenza di affrontare la questione salariale in Trentino se non si vuole che fasce sempre più ampie di popolazione scivolino in posizione marginale. "Serve una politica dei redditi che tuteli e innalzi il potere d'acquisto del ceto medio e delle fasce meno abbienti", dicono i tre segretari generali, Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti.
La traiettoria su cui muoversi è duplice: da una parte rafforzare il welfare locale con misure di sostegno alle famiglie che vadano oltre la logica dei bonus. "Il primo passo dovrebbe essere quello di adeguare tutti i sostegni, a cominciare dall'assegno unico provinciale, all'inflazione, perché gli aiuti non vengano erosi dall'aumento dei prezzi". Una scelta di questo tipo equivale a rinunciare a misure spot, come quelle messe in campo negli ultimi quattro anni dal bonus nascita al bonus energia, rafforzando invece in sostegni alle famiglie con figli fino ai 18, adottando politiche abitative che rispondano a quanti faticano a trovare una casa sul libero mercato, ampliando e rendendo più accessibili e flessibili le misure di conciliazione per favorire così l'occupazione femminile.
Anche le politiche industriali dovrebbero essere orientate alla protezione del potere d'acquisto. "Per alzare le retribuzioni serve rinnovare nei tempi giusti i contratti e incentivare la contrattazione integrativa. Il pubblico ha una leva importante su cui agire, vale a dire i contributi pubblici alle imprese. Continuiamo a sostenere che devono essere selettivi e andare solo alle aziende che rispettano i contratti delle organizzazioni maggiormente rappresentative e che aprono tavoli per accordi di secondo livello. Se non arriveranno risposte chiare dalla Giunta Fugatti su questi punti siamo pronti a mobilitarci".
Una questione, quest'ultima, che chiama in causa anche i datori di lavoro. "È impossibile attrarre manodopera qualificata se non si investe sulla qualità dell'occupazione, quindi retribuzioni e condizioni di lavoro migliori. Il nostro territorio deve giocare sul terreno della competizione puntando su innovazione e capitale umano, non tagliando il costo del lavoro sulle spalle di lavoratrici e lavoratori".