"La memoria non ha nulla di istintivo o di naturale. Naturale è piuttosto l’oblio, istintiva è la deformazione dei fatti accaduti, che non di rado sbiadiscono e perdono di rilevanza con il passare degli anni.
Il Giorno della memoria serve proprio a questo: ad evitare che il tempo faccia il suo corso e ci risparmi l’angoscia di ricordare la tragedia della Shoah. Una tragedia costruita e pianificata fin nei più minimi dettagli, che aveva piegato a obiettivi di morte le conquiste della scienza e della tecnica del primo Novecento. La minuziosa capillarità delle schedature, la catena di montaggio della deportazione, il fordismo delle camere a gas, l’efficienza organizzativa dei campi, gli esperimenti avanzati e atroci sugli esseri umani hanno reso evidente anche ai più ottimisti che il progresso non è neutrale né innocente. Si può progredire in molte direzioni e non tutte sono auspicabili.
Oggi abbiamo più che mai bisogno bisogno della memoria, che è la zavorra che rende stabile la nave, prudente la navigazione, consapevole la scelta della rotta della contemporaneità. La memoria ci serve a distinguere e a smascherare la disumanità contrabbandata per ragionevolezza o il mattatoio che, in Libia e altrove, viene falsato e reinterpretato come baluardo dell’ordine, a riprova che il pericolo del travisamento indifferente è sempre in agguato. “Appartiene al meccanismo dell'oppressione vietare la conoscenza del dolore che produce”, scriveva Theodor Adorno in Minima moralia. Per questo a me pare che la memoria tragica e disperata della Shoah sia essa stessa un atto di rivolta contro gli oppressori di ieri e contro quelli che, se non vigiliamo, se non ricordiamo, già si preparano per il domani dei nostri figli.
Proprio da questa necessità civile di ricordare sono nate le pietre d’inciampo che l’anno scorso abbiamo dedicato ai deportati Albino Nichelatti, morto a Mauthausen, e ad Arturo Tomasi, miracolosamente scampato dal campo di Flossenbürg.