"Celebriamo la festa più importante del nostro calendario civile. La rilevanza di questa giornata storica è evidente: il 2 giugno del 1946 i valori che avevano ispirato la Resistenza, le idee degli antifascisti finiti in carcere, al confino o peggio condannati a morte dal regime di Mussolini hanno smesso di essere aspirazioni astratte. Sono diventati voto popolare contro la Monarchia e a favore della Repubblica, si sono trasformati nell’elezione di un’assemblea costituente che avrebbe dato al nostro Paese nuove regole democratiche.
Il Paese disegnato dalla nostra Costituzione è l’esatto contraltare di quello fascista: al posto di uno Stato coloniale, prevaricatore e bellicista, i costituenti hanno scelto un’Italia che ripudia la guerra. Contro ogni arbitrio e discriminazione, la Carta ha stabilito che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ancora, la Costituzione ci impegna alla solidarietà politica, economica e sociale e ci indica il pluralismo delle idee, delle opinioni politiche, delle appartenenze religiose come strada obbligata. Non c’è grandeur in queste parole sobrie, equilibrate, dense di significati. Non c’è la ridondante retorica del fascismo, non ci sono neppure ostilità e spirito di vendetta. Perché i costituenti non volevano diventare i nuovi padroni del Paese, ma edificare una Repubblica in cui ciascuno potesse trovare il proprio posto, veder riconosciuti i propri diritti, adempiere ai propri doveri.
Anche se è limpido e cristallino, il dettato costituzionale oggi è messo in dubbio da più parti, anche nel mondo della politica e della cultura. Qualcuno invita a tutelare in via privilegiata un’etnia, un presunto “ceppo” italiano prima di ogni altro. C’è anche chi ci richiama all’autarchia culturale, come se la cultura potesse conoscere confini e non avesse il dialogo e il confronto come ragion d’essere. Non è un caso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella qualche giorno fa abbia sentito il dovere di ribadire, richiamandosi ad Alessandro Manzoni nel cento e cinquantesimo anniversario dalla morte, che “è la persona, e non la stirpe, non l'appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e di protezione.