Riva del Garda - I ristoratori trentini ripartono. O, almeno, provano a ripartire. L’Associazione ristoratori del Trentino certifica attraverso un sondaggio ai propri associati le difficoltà della categoria nel riprendere l’attività dopo due mesi di blocco pressoché totale. Tra problemi di liquidità, protocolli, distanziamenti, le imprese fanno fatica a ripartire ma l’entusiasmo e l’ottimismo fanno parte del dna degli imprenditori.
I numeri dell’indagine
Il sondaggio, somministrato ai soci nella prima settimana di (possibile) apertura, è stato compilato da 381 ristoratori. Il primo gruppo di domande riguardano le due tipologie di vendita che sono state concesse prima della riapertura, in tempi diversi: la consegna a domicilio e la vendita per asporto. Una possibilità, quest’ultima, richiesta a gran voce dell’Associazione e concessa dalla Giunta provinciale.
La quasi totalità delle imprese non effettuava consegne a domicilio prima del lockdown: solo il 5,1%. Nel periodo in cui questa tipologia di vendita è stata concessa, la quota è cresciuta al 40,1%, ma dalla riapertura a riproporla saranno solo 2 aziende su 10. Il 29,3% infatti non ha ancora deciso se mantenere il servizio, mentre il 50,5% sicuramente non lo effettuerà.
La vendita per asporto invece era già diffusa prima del blocco: la effettuavano il 63% delle imprese. Valore che è rimasto pressoché stabile nel periodo in cui questa tipologia è stata ammessa, e che nelle intenzioni dei ristoratori potrebbe salire di qualche punto (fino a quasi il 70%) nel periodo successivo.
Dal 18 maggio, giorno in cui è stato possibile riaprire al pubblico i locali, hanno dichiarato di aver effettivamente aperto il 38% degli intervistati. Il 16% lo avrebbe fatto in settimana, il 12% entro il mese. Al momento della somministrazione del sondaggio, il 35% non aveva ancora deciso in merito.
Una parte importante nella decisione di riaprire l’hanno giocata le linee guida concordate dalla Provincia anche con l’Associazione. Ciò ha consentito di rendere più sostenibili le misure contenute nei protocolli, che rimangono comunque un ostacolo alla piena operatività: se per il 19,4% dei ristoratori infatti essi costituiscono un buon compromesso, per il 28,9% rappresentano il meglio che si poteva ottenere ma difficilmente applicabili nella propria realtà. L’11,9% ritiene che fosse il meglio che si poteva ottenere, vista la situazione, mentre il 39,8% li trova complicati da capire e da mettere in pratica.
Le conseguenze sono una riduzione dei coperti a disposizione: solo il 5,5% dichiara una riduzione fino al 20%, mentre il 21% stima una perdita tra il 20 ed il 40%. Il 46% calcola una contrazione tra il 40 ed il 60%, mentre il rimanente 27,5% subirà un taglio di oltre il 60%.
Rimane però la fiducia nella clientela: la stragrande maggioranza, l’80,6% ritiene che con il tempo i clienti abituali torneranno, mentre il 15,4% dichiara che sono già tornati fin da subito. Per un 4% invece non sarà così. E le motivazioni principali sono la paura del virus per il 50%, le misure di contenimento per il 39%, il 6% per entrambi i motivi, mentre il 4% imputa a motivi economici la mancata presenza.
Il capitolo credito rappresenta una criticità per le imprese: se il 47% non ha fatto alcuna domanda di accesso a qualche tipo di finanziamento (un dato condizionato anche da quelle attività stagionali interessate in maniera marginale dal blocco totale), solo l’11% ha chiesto e ottenuto credito.