L’emergenza principale non è la fatica di entrare in relazione con gli altri ma il mancato incontro con noi stessi.
Fatichiamo a dare un nome ai sentimenti. Difficilmente lasciamo spazio a storie, emozioni, volti. Non c’è posto per novità e sorprese: le soluzioni sono già date e acquisite.
Nella fatica del ritrovare il contatto con noi stessi, può venire in soccorso la riscoperta della parola come elemento qualificante dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi. Tipico dell’uomo, è la parola. E la parola arriva sempre in dono dagli altri. L’atto generativo di una madre e un padre – in qualunque cultura – si completa con l’insegnamento della parola.
Come ci ha ricordato il prologo di Giovanni, è bello pensare che Dio si è fatto Parola umana. Ma altrettanto mirabile è che Dio lascia che siano altri, Maria e Giuseppe per primi, ad insegnargli a parlare.
Ogni uomo declina la parola con il proprio timbro di voce. Gesù porta il suo timbro sulla parola: amore a fondo perduto, un amore che non dice mai basta. Questo è il timbro di Dio sull’umano. L’originalità del Dio cristiano.
Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio lo ha rivelato (Gv 1,18), ci ha ricordato il Vangelo.
Il rischio ricorrente è parlare di Dio partendo dalle nostre rappresentazioni. Dio ha corretto l’immaginario su di sé attraverso Gesù Cristo, Parola fatta carne. Dobbiamo dunque re-imparare a dire Dio partendo da Gesù. Diversamente, è dietro l’angolo il rischio di utilizzarlo per partite che con questo Dio non hanno nulla a che vedere, motivate da logiche di potere, causa di divisione, violenza, intolleranza.
Lasciamo che la Parola eterna di Dio, rivelataci dall’umanità di Gesù, risani le nostre parole.
Vi auguro di dialogare con voi stessi, nell’intimità del vostro cuore. Per percepire il guizzo dell’amore senza misura di Dio, mai stanco dell’uomo.
In qualunque situazione vi troviate, ricordate che Dio fa festa per voi, si appassiona per voi, si commuove come un bimbo per voi.
Questo è il Natale. L’augurio più bello che ci possiamo scambiare.