-

Trentino: convegno della Cia sul futuro della cooperazione

Trento - Il futuro delle cooperative, il ruolo dei soci, la voglia di formazione, la funzione dei manager: esperienze trentine ed emiliane a confronto. E' il tema del convegno organizzato dalla CIA del Trentino. Titolo: "Chi pilota le cooperative?". Significativi gli interventi del vicepresidente di CIA del Trentino Paolo Calovi e di Giuliano Poletti, presidente Legacoop e Alleanza delle
Cooperative Italiane.Convegno Cia

IL CONVEGNO

Il tema del convegno è ruotato intorno a due questioni principali: la funzione del socio e le caratteristiche di mutualità che la cooperativa ha verso il territorio. Nel primo caso ci siamo resi conto, nel confronto fra le esperienze trentine ed emiliane (Imola e Bologna), che il ruolo del socio è tornato di prepotente attualità. Scoprire aziende che esportano dal 70 al 90 % della propria produzione hanno come priorità quello di garantire il passaggio in assemblea dei soci di tutte le decisioni (anche di quelle di pura spettanza del Consiglio di Amministrazione) ha confermato praticamente al 100% l'ipotesi su cui era nato questo confronto. Si pensava infatti che la nuova fase culturale ed economica rendesse indispensabile la completa e convinta partecipazione dei soci. E' ben vero,come hanno ricordato sia Diego Schelfi, presidente della Federazione Trentina della Cooperazione, che Flavio Pezzi, presidente di CIA del Trentino nelle sue conclusioni, che l'essere soci dovrebbe sottointendere un livello di consapevolezza sociale superiore alla media, ma è anche vero che tutti riconoscono che anche il semplice fatto di essere soci per ragioni "venali" nonvanno sottivalutate.

Luca Rigotti, Vicepresidente alla Federazione Trentina della Cooperazione con delega all'agricoltura, ha anche ricordato che i gruppi dirigenti cooperativi devono assumersi le proprie responsabilità per quanto riguarda la direzione dell'azienda; è venuta dalle esperienze emiliane di Gianmaria Balducci Presidente Cefla, e Domenico Olivieri Vicepresidente SACMI, la sollecitazione a coinvolgere tutti i soci ma anche il numero più alto possibile dei dipendenti. Di grande interesse anche l'esperienza di Cooperazione Reciproca costruita dalla Cassa Rurale di Pergine che rappresenta una originale sintesi fra le esigenze aziendali della Cassa e le urgenze sociali dei soci e della popolazione del territorio nel quale si opera.

Si sono confrontate esperienze uniche in Italia, perché entrambe hanno costruito un modello unitario a Trento come a Imola. Il discorso non è finito qua e ai primi di febbraio è molto probabile la realizzazione di un'iniziativa similare proprio a Imola.

INTERVENTO DEL VICEPRESIDENTE PAOLO CANOVI
Da alcuni anni a metà dicembre la CIA organizza incontri come quello di oggi per trattare di temi che ci interrogano come produttori agricoli ed anche come cittadini. Abbiamo affrontato le varie questioni a partire dai nostri interessi di categoria, ma con mentalità aperta ai punti di vista degli altri soggetti. Abbiamo sempre cercato quel “bene comune” che non è facile perseguire in una società come quella di oggi, scossa e frammentata dai grandi cambiamenti economici, priva di un quadro di valori condivisi e attraversata da forti correnti individualiste. Non ci siamo limitati ad affrontare argomenti di solo interesse settoriale. E pensando ai temi sviluppati negli anni scorsi si possano individuare spunti di riflessione e di iniziativa che mantengono ancora una loro attualità anche nella prospettiva del bene comune.

Quest’anno, poi, quello che abbiamo proposto al dibattito è un tema per così dire ancor più trasversale, perché interessa direttamente una molteplicità di soggetti, con risvolti di natura economica, sociale, culturale e politica molto estesi all’interno della nostra comunità provinciale.

La cooperazione trentina è infatti talmente radicata e ramificata nel nostro territorio che necessariamente va riguardata entro orizzonti ampi. Fuori dal contesto cooperativo, il Trentino non può nemmeno essere rappresentato o immaginato. E se vale per il Trentino nel suo insieme, questa affermazione è ancor più valida e convincente per il comparto dell’agricoltura, comparto nel quale il nesso col fenomeno cooperativo è ancora più ampio e forte.

Nata in ambiente rurale come strumento di difesa nei confronti di creditori con pochi scrupoli, la cooperazione si è venuta via via allargando a tutti gli ambienti sociali ed economici. Da strumento di tutela e protezione dei ceti più deboli, ha assunto nel corso dei decenni i caratteri di una vera e potente leva di sviluppo dell’intera comunità. Queste dinamiche sono chiaramente riconoscibili nel comparto agricolo. Basta pensare a che cosa erano in termini di strutture e profili gestionali i magazzini frutta, i caseifici e le cantine sociali fino agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso: edifici e attrezzature più che modeste, scarso potere contrattuale sui limitati mercati delle produzioni agricole, tutela dei produttori nei confronti dei vincoli più sfavorevoli di questi mercati, nei quali gli operatori agivano con tempi ed in ambiti molto ridotti.

Un ciclo nuovo prende forma sul finire degli anni sessanta, in parallelo allo sviluppo dell’intera economia provinciale e con un insieme di investimenti poderosi in strutture ed attrezzature sostenute dalle contribuzioni dei fondi comunitari e del bilancio provinciale. Si consolidano anche le iniziative commerciali di queste strutture con accordi, operazioni societarie,
politiche di marketing che danno forza contrattuale sui mercati dei prodotti agricoli, a loro volta qualitativamente diversi da quelli del passato. Melinda, Cavit, Mezzacorona, Concast – anche se non le uniche - sono le espressioni più evidenti di questo dinamismo.

Questi fenomeni hanno comportato anche criticità che interrogano tutti. Non so se erano inevitabili. E’ certo però che ce ne dobbiamo occupare e preoccupare. Vorrei indicarne alcune:
- catene di comando dilatate, che allontanano sempre più i soci dalle tecnostrutture dirigenti;
- schemi gestionali che rendono opachi gli ambiti e i gradi delle responsabilità;
- investimenti incentivati dall’intervento pubblico, che in qualche caso si sono rivelati
- scarsa o tardiva valorizzazione dei prodotti biologici e di nicchia, mentre la domanda di
questi prodotti cresceva con ritmi sostenuti;
- circolo vizioso tra il modello della cooperativa e i modelli produttivi a monte di essa;
- gestioni finanziarie non sempre prudenti;
- difficoltà a lavorare con logiche di filiera attraverso alleanze con tutti i soggetti attivi.

Si tratta di profili solo accennati e messi in fila uno ad uno, ma che in realtà sono tra di loro intrecciati e interagiscono fortemente nel determinare i risultati dell’impresa cooperativa nei confronti della compagine sociale e della comunità nel suo insieme. Solo per citare un esempio, ricordo qui il caso che abbiamo spesso menzionato del caseificio di Fiavè, la cui crisi è anche riflesso del modello zootecnico che si è instaurato a monte. E quindi la riconversione dei modelli produttivi e le strategie di riposizionamento del caseificio sociale dovranno essere considerate come un processo unitario a cui porre mano.

In caso contrario temiamo che la crisi si avviti su se stessa con gli esiti che possiamo immaginare. Diciamo queste cose perché crediamo profondamente e senza esitazioni nella cooperazione come qui si è configurata con i propri tratti specifici. Ed è perché ci crediamo che vogliamo ribadire anche oggi quelle che riteniamo le priorità di iniziativa per assicurare che la cooperazione trentina tenga il passo con i tempi che cambiano.

1) La prima di queste priorità riguarda la centralità del socio.
Essa parte anzitutto dalla consapevolezza che il socio stesso deve avere nei riguardi della propria centralità all’interno dell’impresa cooperativa e di conseguenza dal protagonismo che i soci debbono sviluppare all’interno delle loro società. Valorizzare, promuovere, sostenere questa consapevolezza ed esercitare ogni azione coerente con questo assunto è compito poi degli amministratori e dei dirigenti nei diversi ruoli ad essi affidati.
2) Competenze e professionalità non mancano nel nostro sistema cooperativo. C’è un problema di esportare – se così si può dire – queste risorse lì dove vi sono dei deficit, come abbiamo purtroppo dovuto riscontrare in talune situazioni. E non si tratta solo di competenze tecniche in senso stretto,
perché sono decisive anche quelle capacità relazionali che sono importanti in tutte le organizzazioni, tanto più in quelle cooperative.
3) In sistemi articolati come quelli tipici delle società cooperative, spesso le responsabilità non sono così ben definite e trasparenti. In tal modo i comportamenti sbagliati non risultano né sanzionabili né sanzionati. Certo si corre il rischio di regolamentazioni che possono irrigidire o burocratizzare le
società; credo però sia possibile evitare questi rischi ed insieme affermare la regola e soprattutto la pratica che chi sbaglia paga, fuori dai modelli nei quali nessuno risponde di niente a nessuno.
Bisogna cioè – come dicono gli studiosi di economia – eliminare i rischi del cosiddetto azzardo morale.
4) Da ultimo – e non per importanza – credo sia necessario rafforzare le azioni di sistema. E quindi:
- solidarietà intercooperativa, evitando però i rischi dell’azzardo morale
- capacità progettuale e cioè capacità di elaborare strategie di qualificazione a beneficio delle
singole società, di tutto il mondo cooperativo e del territorio nel suo insieme
- azioni concrete e coerenti da mettere in opera per realizzare queste strategie
- rafforzamento del ruolo di monitoraggio e controllo della Federazione, andando anche oltre il solo
istituto della revisione.
- formazione a tutti i livelli.
Abbiamo indicato alcuni spunti di confronto, da sviluppare anche alla luce di quanto ci diranno gli
ospiti che ci illustreranno le esperienze di altri territori. Mi auguro che nasca un confronto utile e concludo rinnovando il saluto più cordiale a tutti voi e il grazie per la vostra presenza.

LA RELAZIONE DI GIULIANO POLETTI, LEGACOOP

Il contributo di Giuliano Poletti, presidente Legacoop e Alleanza delle Cooperative Italiane è stato sul tema del governo delle imprese cooperative è fondamentale e sempre all’ordine del giorno. Di fronte al cambiamento delle cooperative e all’innovazione dei processi, degli strumenti tecnologici che consentono di conoscere, formarsi e scambiarsi opinioni più rapidamente, si propone con forza l’esigenza di affermare concretamente una delle caratteristiche tipiche della forma cooperativa: la partecipazione responsabile dei soci al governo dell’impresa. Da questo punto di vista occorre una premessa essenziale: per conseguire pienamente questo obiettivo non basta un atto di volontà dei gruppi dirigenti e dei soci. È indispensabile da un lato che i soci siano effettivamente consapevoli e liberi di esercitare questo ruolo, dall’altro che questo ruolo venga promosso e sostenuto.

Questo primo dato è strettamente connesso ad un elemento sostanziale, cioè l’interesse diretto del socio alla vita della cooperativa. Tutti i meccanismi che contribuiscono a rendere chiaro e comprensibile l’interesse del socio alla vita della cooperativa stimolano una partecipazione responsabile. Naturalmente, questa è una condizione che varia in relazione alla tipologia delle cooperative. Vivere e lavorare in una cooperativa è diverso dall’utilizzare i servizi di una banca o dall’acquistare i prodotti in una cooperativa di consumo: ma preso atto di questa diversità è chiaro che c’è comunque sempre un’esigenza di promuovere la partecipazione dei soci.

Il secondo aspetto riguarda i modelli di governance, e quindi l’effettività e l’efficacia di questa partecipazione. Anche qui, esistono differenze tra piccole e grandi imprese. Da questo punto di vista, però, non c’è alcun automatismo diretto tra dimensione e capacità di assicurare una partecipazione responsabile ed effettiva dei soci. Esistono esempi evidenti di grandi cooperative che hanno adottato metodologie e procedure in grado di promuovere la partecipazione e di renderla efficace ed effettiva, mentre, in parallelo, ci sono casi di piccole cooperative dove non avviene altrettanto.

Da questo punto di vista, è molto importante il ruolo dell’informazione e della formazione. Perché il socio possa partecipare consapevolmente deve essere sollecitato ed agevolato a farlo, deve trovare un clima che considera positivamente la partecipazione responsabile, che vede nel socio che partecipa una risorsa che aiuta a governare meglio la cooperativa, non un fastidio da evitare. Ma affinché la sua partecipazione sia consapevole e produttiva bisogna che al socio vengano garantiti non solo strumenti di conoscenza, quindi che sia adeguatamente informato, ma che sia anche destinatario di specifici interventi di formazione. Le cooperative, insomma, debbono essere trasparenti, mettendo a disposizione dei soci tutte le informazioni necessarie per consentire loro di esprimere consapevolmente e razionalmente un giudizio di merito rispetto a ciò che la cooperativa decide.

Naturalmente, c’è sempre un punto di equilibrio tra la proprietà e il management, molto diverso tra piccole e grandi imprese cooperative. Ma questo è un tema che affrontato e risolto con una precisa definizione dei compiti che riguardano il Consiglio di Amministrazione e l’Assemblea dei soci e delle competenze e responsabilità della direzione aziendale. Da questo punto di vista, c’è poi un altro elemento da considerare: quello della relazione tra cooperative e delle cooperative con la loro organizzazione. Premesso che è impensabile ipotizzare forme di eterodirezione o di intromissione nella vita delle cooperative, serve, però, un dialogo.

Siccome il mondo cooperativo ha un’identità distintiva che è un patrimonio comune, bisogna evitare che venga “sperperato” da comportamenti incoerenti; è quindi del tutto legittimo che ci sia una scambio di valutazioni, di opinioni e di informazioni e, quando è necessario, di supporti. Con la consapevolezza che si tratta sempre di una scelta che si realizza dentro un confronto, una dialettica, una riflessione comune. Insomma, fermo restando che la responsabilità, nelle cooperative, è dei soci, del consiglio di amministrazione e del management, può avvenire che, facendo parte di una “comunità” cooperativa, un’impresa chieda alla propria organizzazione di essere “affiancata” o, comunque, di avviare un confronto che consenta di prendere le decisioni nella maniera più informata e definita.

E questo processo non deve rimanere informale, ma deve essere definito. Non bastano né gli uomini probi da soli né le regole da sole. Occorrono entrambi. Bisogna avere una buona regolazione della governance, strutturare la partecipazione, perché le cose non capitano a caso, vanno decise. Fare attività di formazione per i soci, attivare meccanismi di qualificazione, organizzare percorsi che consentano di creare bacini significativi di nuovi amministratori con un’adeguata rotazione nella composizione dei consigli, fare sì che i giovani assumano la loro responsabilità: sono tutte attività che vanno decise sulla base di regole condivise. Perché senza regole si corre il rischio di determinare situazioni nelle quali un cooperatore si considera o viene considerato come indispensabile. Un modello di governance dove può accadere questo è un cattivo modello di governance. È bene che ne siamo tutti consapevoli se vogliamo che, anche in futuro, l’impresa cooperativa continui a produrre effetti positivi per i soci e per tutta la comunità.
Ultimo aggiornamento: 18/12/2013 08:45:00
POTREBBE INTERESSARTI
ULTIME NOTIZIE