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L'Agenda delle Valli

Filcams e sindacati trentini: "La precarietà genera lavoro povero"

Inizio: 22/05/2025 dalle ore 12:00 - Fine: 22/05/2025 alle ore 13:00 - Dove: Lavis - TN IT
Trento - Si può essere poveri anche lavorando? In Italia e anche nella regione sì. Nonostante infatti cresca il tasso di occupazione nel nostro Paese quasi un lavoratore su dieci è a rischio povertà, vale a dire come ha messo nero su bianco Eurostat che nel 2024 il 9% ha un reddito inferiore al 60 per cento di quello mediano.

Anche di questo si è discusso oggi nella tavola rotonda organizzata da Filcams del Trentino e Filcams dell’Alto Adige a Lavis nell’ambito delle iniziative per i referendum dell’8 e 9 giugno.

Ad aprire i lavoro sono stati i due segretari provinciali, Luigi Bozzato per il Trentino e Andrea Camera per l’Alto Adige.

Camera ha insistito sulla questione del lavoro precario, sottolineando come un lavoro non stabile è spesso causa di lavoro povero e dumping contrattuale. Situazione di cui fanno le spese lavoratrici e lavoratori, soprattutto i più deboli. Da qui l’impegno del sindacato a rimettere al centro del dibattito pubblico, con il referendum, le questioni del lavoro. “La nostra battaglia è per riconquistare i diritti che abbiamo perso, per ridare dignità e umanità al lavoro. Non è pensabile che lavoratrici e lavoratori siano considerate cose più che persone”, ha detto citando il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky.

Di occupazioni povere ha parlato anche Luigi Bozzato raccontando le condizioni di lavoratrici e lavoratori negli appalti che si trovano ad operare in un vero e proprio “girone dei dannati”. “L’aumento della povertà lavorativa è in larga parte dipendente dalla diffusione di contratti di lavoro flessibili, del part-time involontario, dei cosiddetti “lavoretti”, oltre che da un incremento del peso dei servizi che sono tra i settori produttivi più a rischio di basso salario, ma che stanno assorbendo i maggiori incrementi di manodopera”. In questo quadro – ha ricordato ancora Bozzato – il referendum è un’occasione importante perché non c’è nessuno di più ricattabile di lavoratore con un contratto precario.

Diversi dunque gli interventi delle lavoratrici e dei lavoratori del Trentino e dell’Alto Adige che hanno portato testimonianze di cosa vuol dire lavorare con un’occupazione precaria, molte volte part time involontaria, con retribuzioni che non superano i 10 euro lordi l’ora e che spesso si fermano a meno di 8 euro lordi l’ora negli appalti di servizio, dal pulimento fino ai blasonati musei provinciali e alle biblioteche.

La seconda parte della mattina è stata dedicata invece alla tavola rotonda “Salari bassi e precarietà. Così si resta poveri lavorando”, moderata dalla giornalista Chiara Zomer e aperta dall’analisi del professor Paolo Barbieri, del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento. Barbieri ha fatto un focus sul lavoro povero, mettendo in luce come Italia si sia ampliata la forbice tra benestanti e poveri, con un conseguente aumento delle diseguaglianze. Nel nostro Paese ci sono circa 2,5 milioni di lavoratori e lavoratrici povere e in Italia come in Europa crescono gli occupati full time, cioè con almeno sette mesi di lavoro l’anno, che sono poveri. In questo quadro è impossibile non interrogarsi se il lavoro stia perdendo la capacità di prevenire i rischio di scivolare in povertà a causa di salari sono troppo bassi. Il problema riguarda l’Europa, ma è più marcato in Italia

Dunque Barbieri ha fatto un’analisi dei fattori che espongono al rischio di lavoro povero, di tipo individuale e familiare. In sintesi i soggetti più a rischio sono le famiglie monoreddito. I dati dimostrano che l’arrivo di un secondo reddito, anche precario, riduce il rischio povertà. Se ne deduce la necessità di creare nuova occupazione, ma un’occupazione che deve essere di qualità. E’ importante ridurre rischio povertà perché si trasmette da genitori a figli e per questa ragione la povertà è un problema degli individui, delle famiglie, ma anche delle famiglie in divenire.

In questo quadro appare chiaro che la deregolamentazione e la dualizzazione del mercato del lavoro, tra occupazioni stabili e precarie, ha prodotto lavoro povero. Un tema su cui si è soffermata anche Sonia Paoloni, della segreteria nazionale della Filcams. “In Italia c’è un problema salariale che non riguarda solo i lavoratori degli appalti e dei servizi, dei settori seguiti dalla nostra categoria, ma è purtroppo più ampio. Abbiamo lavoratrici e lavoratori precari altamente qualificati che non hanno nel nostro Paese la possibilità di impiego qualificato perché Italia fa politica di competizione da costi, quindi spinge solo su una forza lavoro che costa poco. La precarietà diventa allora un rifugio per quanti non ottengono occupazione stabile né adeguata alle proprie qualifiche. Dobbiamo uscire dalla narrazione per cui “essere precari è bello”. Non è così. E’ ora di rimettere al centro il lavoro come dignità e il referendum è una battaglia di civiltà”.

Sulla dimensione locale si sono soffermati i due segretari confederali, Andrea Grosselli per la Cgil del Trentino e Cristina Masera, per la Cgil dell’Alto Adige. In particolare Grosselli ha sottolineato che la questione salariale va affrontata anche creando occupazione di qualità. Obiettivo che si può perseguire solo se si investe in politiche industriali lungimiranti, se si sostengono gli investimenti che creano valore aggiunto come quelli in innovazione. “Spingere sulla qualità del lavoro, la sfida più difficile per Italia e Trentino, resta un miraggio se non c’è consapevolezza che tutte le grandi riforme del mercato del lavoro non hanno prodotto un aumento della ricchezza per il Paese. Nel 2023 la produttività del lavoro in Italia, cioè la ricchezza prodotta, è crollata del 2,5% mentre cresceva occupazione. Questo perché si è creata occupazione di bassa qualità e senza investimenti in settore ad alta qualificazione. Dunque si lavora, ma le retribuzioni non sono in grado di garantire qualità della vita dignitosa in molti casi. L’impegno per i referendum è l’occasione ad aprire una discussione sul lavoro e prendere atto che il modello adottato fino ad oggi non ha prodotto più ricchezza”.

E se il Trentino guarda sempre con ammirazione l’Alto Adige è toccato alla segretaria della Cgil di Bolzano sfatare “il mito”. Masera ha ricordato che in Alto Adige il 30 per cento dei lavoratori è precario e che Alto Adige non è esattamente l’isola felice che viene dipinta. “La verità è che se sei precario non diventi indipendente, non ti fai una famiglia. In provincia di Bolzano il costo della vita è elevatissimo, quindi anche a fronte stipendi più elevati la condizione della vita individuale e collettiva non migliorano”, ha concluso invitando tutti a votare ai prossimi referendum dell’8 e 9 giugno.
Ultimo aggiornamento: 21/05/2025 22:25:54