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Tragedia di Val di Stava, l'intervento di Mattarella a Tesero

Nell'inondazione del 19 luglio 1985 morirono 268 persone

TESERO (Trento) - Un momento importante per la comunità di trentina: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è giunto a Tesero per commemorare le 268 vittime dell’inondazione avvenuta il 19 luglio 1985. Il Capo dello Stato ha deposto una corona al monumento commemorativo delle vittime, presso il cimitero monumentale di San Leonardo (foto credit Quirinale).
Successivamente si è recato al Teatro comunale di Tesero, dove si è svolta una cerimonia alla presenza delle autorità, il presidente della Provincia Maurizio Fugatti, il sindaco di Tesero Massimiliano Deflorian, gli amministratori locali e tantissimi cittadini.

Ecco l'intervento del presidente Mattarella a Tesero per i 40 anni della catastrofe di Val di Stava

"Quarant’anni fa, era da poco passato mezzogiorno, sulla valle di Stava cadde di colpo - come ben ricordiamo tutti - morte, devastazione, disperazione.
I soccorsi cercarono di portare aiuto e fraternità, di concorrere alla ricerca dei familiari, laddove conforto era parola quasi improponibile.
Oggi siamo qui per rinnovare la memoria delle vittime e per riflettere insieme sul necessario impegno perché a prevalere siano sempre le ragioni della vita su quelle dello sfruttamento, sovente portato alle più estreme conseguenze.
Fare memoria non vuol dire soltanto ricordare insieme ciò che mai potrà essere dimenticato.
La memoria interpella le nostre coscienze e le sollecita a nuove responsabilità, come ben ricordiamo tutti, come recita, del resto, il motto scelto per questo anniversario.
Siamo qui con questo intendimento, insieme ai familiari delle vittime ea i cittadini di queste valli. Con i rappresentanti delle istituzioni, con i sindaci del territorio, che saluto con cordialità.
Ringrazio per i loro interventi il Presidente della Provincia di Trento, il Sindaco di Tesero, il Presidente della Fondazione Stava 1985, il Professor Zamagni.
Saluto gli abitanti di Tesero, della valle di Stava e della val di Fiemme.
Vorrei che tutti avvertissero, oggi e costantemente, la vicinanza della Repubblica, di tutti gli italiani nella condivisione del dolore recato da questa tragedia nazionale.
Che causò - come abbiamo più volte ascoltato, e sappiamo bene - la morte di 268 persone che riposano in decine di comuni d’Italia, in una decina di regioni: tra le vittime, decine di bambini e adolescenti. 71 le salme mai identificate, che riposano in questo cimitero.
Tre gli alberghi - sede di vacanze serene - che vennero travolti in quella strage, tra essi quello delle Acli milanesi, 53 le case, 6 le fabbriche.
Qui è accaduto qualcosa di sconvolgente, di inaccettabile.
L’Italia, purtroppo, non è esente da calamità che si usa definire “naturali”, per sottolinearne la imprevedibilità, la loro quasi ineluttabilità.
Qui non è stata la natura a distruggere, a uccidere.
Qui, a provocare la strage, è stata una calamità non di natura, causata artificialmente dall’uomo.
Qui vi sono state responsabilità delle imprese coinvolte, incuria, mancata vigilanza delle autorità nella gestione del progetto minerario.
In una parola, a determinarla fu l’indifferenza al pericolo per le persone.
Sulla base di una errata concezione del rapporto uomo-ambiente, con quest’ultimo considerato risorsa da sfruttare e non da porre, doverosamente, in favore della comunità, come un valore al suo servizio.
È la storia di un rapporto improprio formatosi tra grandi imprese e una piccola comunità - terra di emigrazione - posta, inconsapevolmente, davanti al bivio tra lavoro e sicurezza.
Profitti e lavoro si presumevano superiori a ogni criterio di compatibilità ambientale, a ogni altro diritto, alla stessa etica civile.
La montagna e le sue risorse non dovevano - e non devono - essere sfruttate senza ritegno.
Tornare alle immagini di disperazione di quel giorno, di quei giorni, e confrontarle con le bellezze restituite ai nostri occhi dalle montagne, dal paesaggio, dalla vegetazione, dalla vita che nella valle è rinata, ci pone anzitutto di fronte alla pietà per le persone che non ci sono più e non possono giovarsi di queste bellezze che per sempre saranno anche loro.
L’onda di fango - come abbiamo visto, e sappiamo bene - fu spietata. Venne giù dai bacini crollati su loro stessi con forza e velocità violentissime.
Non vi fu scampo.
Fa impressione rileggere la relazione della commissione d’inchiesta ministeriale, insediata dal Ministro Zamberletti: “Ubicazione meno adatta per i bacini in questione non poteva essere trovata.
Tutto l’impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata”.
I bacini - lo suggerisce ogni esperienza - ove ne sia necessaria la realizzazione, vanno collocati a valle dei centri abitati.
Non ovunque, le logiche di utilizzo delle risorse dei territori montani hanno prodotto effetti catastrofici.
Occorre tuttavia fare di più.
È necessario riconciliarsi con l’ambiente.
Un nuovo sviluppo sarà possibile solo facendo convergere equilibrio ecologico, equità sociale, armonia nei territori. Il progresso non si misura sulla base del profitto economico che se ne ricava, indifferenti ai costi sociali, ambientali, umani.
Alcuni decenni fa vi era minor consapevolezza sull’ambiente.
Dieci anni or sono, com’è stato poc’anzi cortesemente ricordato, condividendo il ricordo di questa strage, sottolineavo che Stava è “il simbolo di un modo gravemente sbagliato di concepire l’attività economica, il profitto, il rapporto con l’ambiente, la valutazione dei rischi”.
La giustizia ha stabilito le responsabilità, ricostruito la sequenza dei reati, delle negligenze, delle omissioni, delle scelleratezze compiute.
Ciò che non si deve fare è, comunque, chiudere questo scempio dentro una parentesi. Sigillarla nel suo orrore per archiviarla, senza misurarci con il presente.
Non vi sono alibi.
Riconciliarsi con l’ambiente è una questione che riguarda anche la coesione sociale, che riguarda anche la democrazia.
La prospettiva dello sviluppo sostenibile è stata una conquista conseguita a caro prezzo.
Una conquista della quale, a volte, sembra che taluni vogliano liberarsi, quasi fosse un fastidio anziché un investimento sul futuro.
Un contributo rilevante alla crescita di una cultura nuova è stato fornito negli anni dalla Fondazione Stava 1985, premio Alexander Langer nel 2010.
E proprio questa personalità acuta e inquieta, originaria di terre così vicine – venuta meno nel luglio di trent’anni or sono - parlava di “conversione ecologica” per indicare un processo che deve coinvolgere contemporaneamente cultura, istituzioni, economia, società. Ce lo ricordava il Professor Zamagni, poc’anzi.
Alla Fondazione Stava 1985 desidero esprimere la riconoscenza della Repubblica per aver aiutato a ricucire comunità e territorio, storia, identità, futuro.
Un luogo può essere indentificato in una mappa, in una fotografia, da una cronologia.
Un territorio no.
È il prodotto composito di una vicenda storica, di una presenza umana, di attività che si formano e lo trasformano, di valori e di sentimenti che contrassegnano una comunità.
Una comunità è tale se possiede radici, se ha costruito una propria memoria.
E la memoria deve essere “attiva”, per esprimere forza civile, come disse, a suo tempo, il presidente Carlo Azeglio Ciampi.
Del resto, quale aspirazione più grande può avere una comunità se non quella di farsi protagonista della propria storia?
Di trarre anche dal dolore, in questo caso da una immane catastrofe - non soltanto dai successi - le risorse morali che possono aiutare a far prevalere valori violati?
In questo giorno di anniversario è doveroso ricordare la grande generosità dei soccorsi. È stato già fatto; desidero farlo anch’io.
Nel dramma fornirono sollievo e prova preziosa di umanità.
Oltre ottomila vigili del Fuoco volontari del Trentino, e poi Alpini, Carabinieri, uomini della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, del Corpo forestale, volontari della Croce Rossa e della Croce Bianca.
Si riversarono tutti nella valle per soccorrere, per dare forza dove le forze mancavano, per cercare dove potesse esservi qualcosa da restituire alla commozione dei familiari.
Ancora oggi va ribadito, nei loro confronti, un ringraziamento che non degrada con il tempo.
Siamo un Paese che sa essere generoso quando c’è emergenza.
Un popolo che sa unirsi quando le vicende lo richiedono.
È una grande, costante, forza della storia della nostra Repubblica.
Quello della valle di Stava resta un evento tra i più gravi tra quelli disastrosi che abbiamo subito.
Vogliamo ricordarla anche come emblema di una rinascita.
Come testimonianza della ostinazione, della resilienza della gente di montagna a non rinunciare mai a scegliere il proprio destino.
Di un riscatto, negli anni, della gente del Trentino, dell’intera Italia. A distanza di 40 anni da quella tragedia - nel 2026 - si terranno qui le gare di fondo delle Olimpiadi invernali.
Stava - lezione dolorosa, ingiustificata e ingiustificabile - ci consegna un dovere.
“Perché non si perdano più vite e non si ripetano le sofferenze”, è stata la consegna di questi anni.
Per assicurare un avvenire migliore per le nuove generazioni"








Ultimo aggiornamento: 19/07/2025 14:58:33
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