TESERO (Trento) -
"Non condivido l’idea diffusa che il tempo lenisca il dolore. Piuttosto, lo intensifica. A cambiare, sono le modalità in cui lo si vive", così l’
arcivescovo di Trento
Lauro Tisi nella Santa Messa in occasione del 40° anniversario della tragedia di Stava
nella chiesa parrocchiale di Tesero.
IL TESTO DELL'OMELIA DI MONSIGNOR LAURO TISI
"Cari familiari, quanto avete vissuto nella tragedia di quarant’anni fa a Stava, è una ferita indelebile che ha segnato per sempre la vostra esistenza.
La Parola di Dio di questa domenica, con il suo invito a immergere la vita nell’ascolto, è per tutti noi una salutare provocazione a non silenziare il dolore devastante di chi, in un attimo, si è visto privato degli affetti più cari.
La pagina evangelica, contrariamente a quanto un’interpretazione semplificata vuol far credere, non mette in opposizione vita attiva e vita contemplativa. La vita credente, come domenica scorsa ci ha ricordato il brano del Samaritano, ha nella concretezza del fare il suo habitat naturale. Tuttavia, il nostro agire può avere i tratti alienanti di un’attività frenetica, con al centro l’accreditamento del proprio ego. Oppure, può favorire la dimensione liberante di chi si fa carico del volto dell’altro, di chi si prende cura del fratello, pagando di persona.
Poniamoci, allora, come Maria, in ascolto di Gesù.
Egli può offrirci i criteri per leggere il dramma che oggi di nuovo riviviamo.
A originarlo, è stato l’aver agito in sfregio di quel formidabile percorso di vita tracciato dal Vangelo delle Beatitudini.
Beati i poveri in spirito. È mancata la dimensione della povertà nello spirito, che fa del primato del valore della persona la sua stella polare. Per ripiegare, drammaticamente, nella ricerca del profitto ad ogni costo e nell’interesse di pochi.
Beati i miti. È venuto meno il dialogo con il Creato, la sua armonia, i suoi ritmi e le sue leggi, lasciando spazio all’arroganza dell’uomo che, anziché interagire con il Creato, ne diventa usurpatore.
Beati i puri di cuore. È mancato l’ascolto di chi, nella semplicità, avvertiva i segnali di un pericolo incombente.
Beati i misericordiosi. Il ricordo dei tanti uomini e donne che in quelle ore drammatiche si sono fatti concretamente carico del dolore sepolto dal fango, diventa per noi salutare punto di riferimento perché la memoria di quanto accaduto si faccia viatico per una modalità diversa di abitare l’umano.
Beati gli operatori di pace. Un abitare l’umano dove a dettare il passo è l’assumersi la responsabilità di porre gesti di riconciliazione e di pace, liberando dono di sé, gratuità, impegno resiliente a farsi prossimo degli altri. Nella consapevolezza che, ogni volta in cui il volto dell’altro viene sfregiato, siamo tutti perdenti.
Questo è il modo migliore per sanare la memoria e liberare l’umano dalla frenesia affannata che lo impoverisce, rendendolo terreno di conflitto".