Con lockdown e continue limitazioni, il futuro è sempre più incerto per quella che ha rappresentato da decenni regione trainante del Paese e che rischia di sgretolarsi pezzo per pezzo. I lombardi si sentono traditi dal governo Conte, dal presidente della Regione Attilio Fontana e dalla Lega nello specifico. A suscitare i primi dubbi la gestione primaverile, ma quanto successo nelle ultime settimane ha scatenato reazioni dell’elettorato bi-partisan contrarie alla gestione della pandemia a tutti i livelli, locali e nazionali. L’intervento del presidente della Repubblica per dirimere le continue liti Governo-Regione è esplicativo del clima tra chi sta guidando l’Italia in questo momento delicato: questo elemento, aggiunto al continuo slittamento di un provvedimento richiesto come ‘urgente’ dallo scorso weekend ha fatto ancor più infuriare gli italiani.
Il senso di smarrimento, la mancanza di chiarezza e di un orizzonte ben definito e la consapevolezza di una catastrofe socio-economica provocata dalla gestione anti-Covid lasciano inquietudine nei cittadini. La reazione infatti alle decisioni adottate dal governo di chiudere la Lombardia – la regione da decenni che traina l’economia italiana, con la Lega in particolare che è stata votata e si è imposta puntando su lavoro e autonomia, non su sussidiarietà, mascherine, salute e reddito di cittadinanza – ha coinvolto direttamente anche i vertici regionali che, secondo una parte sempre più crescente anche nel proprio elettorato, “non hanno saputo difendere le ragioni del territorio” continuando inoltre su un paradigma anti-liberale che è già in partenza fallimentare e insostenibile nelle condizioni nelle quali versa il Paese, come dimostrato dai dati della pandemia. Senza un ritorno quanto più rapido alla normalità – non la tanto decantata “nuova normalità” con regole populiste, inefficaci, utopistiche e contraddittorie, ma una normalità quanto più simile possibile a un anno fa – il sistema rischia di collassare per sua stessa struttura e la mancata presa di coscienza da parte di chi ha sempre fondato la propria idea su lavoro ed economia sorprende i suoi stessi elettori.
Le accuse: l’incapacità di gestire la prima ondata in primavera, le continue limitazioni insostenibili nella vita di tutti i giorni e totalmente inefficaci e controproducenti per la vita di tutti i giorni, l’impreparazione delle strutture sanitarie per la seconda ondata della pandemia, ora il nuovo lockdown: a finire nel mirino per i votanti da entrambi gli schieramenti politici sono tutti, Governo e Regioni.
Un fallimento ben visibile a tutti i livelli, nonostante l’autocelebrazione del ‘modello italiano’, che sarà pagato anche dalle prossime generazioni. Non saranno i ristori – la mancette elettorali come venivano chiamate una volta – a far cambiare idea al popolo lombardo, di qualsiasi colore politico, una volta che quest’incubo sarà finito (se ci sarà una fine).
CONTINUE RESTRIZIONI, EFFETTO-BOOMERANG DELLE ORDINANZE E MANCATA DIFESA DEI LOMBARDI: ANCHE LA REGIONE FINISCE NEL MIRINO DEI PROPRI ELETTORI
Agli affondi di Matteo Salvini in contrasto al Governo si contrappongono le restrizioni imposte dalla stesse cariche ‘leghiste’ sui territori. Lo scaricabarile Stato-Regioni basato su pretesti troppo spesso poco sostanziali non convince: troppo ondivaga la posizione ‘lombarda’ che al posto che combattere la pandemia con provvedimenti efficaci è scaduta anche lei in ordinanze più a sfondo populista che altro.
Divieti assurdi, il coprifuoco definito in Regione qualche settimana fa (dato come segnale, senza utilità scientifica, come ammesso dagli stessi decisori), i continui appelli ai cittadini quasi a indicarli come capri espiatori, le ordinanze locali di chiusura dei cimiteri lo scorso weekend di Ognissanti, la volontà di avere provvedimenti uniformi senza differenziazione sui territori, la mancanza di realismo nell’analisi di dati e comportamenti, la gestione di tamponi, test rapidi e tracciamento: sono solo alcuni dei casi che hanno contribuito a far tornare la situazione lombarda nell’occhio del ciclone con un Governo che ha poi risposto con una ‘mazzata’ sulla pelle dei cittadini.
Per i leghisti c’è poi il capitolo autonomia: il partito che più di tutti spinge per la svolta autonomista non ha saputo difendere a fondo le istanze che da mesi arrivano dai territori, anche solo impuntandosi per avere lockdown solo su aree sub-regionali. La Lega che per decenni ha dato battaglia sull’autonomia e che governa la Regione Lombardia è sparita a tratti in questa fase sul fronte pratico con la Regione che non si è smarcata fino in fondo dalla gestione nazionale che tutto sembra tranne che su principi liberali.
Forse per la paura di problemi giudiziari dopo la querelle su Rsa e chiusura di Nembro e Alzano, forse per la paura di essere additati come ‘negazionisti’, o forse per altre motivazioni: l’allineamento della Regione su una linea ‘chiusurista’ e anti-liberale – palese in tutta Italia da mesi – ha da tempo lasciato spiazzati molti dei suoi elettori, sommato poi a un’impreparazione di fondo (anche qui con scarico di responsabilità Regioni-Governo) alla seconda ondata attesa da mesi. E il calo della Lega nei sondaggi, di pari passo con quello del Governo, va anche in questa direzione secondo gli analisti, non riuscendo più a rispondere alle esigenze dei cittadini che ora vedono a rischio la propria sopravvivenza, non solo in termini di salute ma anche e soprattutto in termini di futuro, lavoro e stabilità. Con molti che promettono di “non dimenticarsi” di tutto questo alla prossima tornata elettorale…