Ponte di Legno - Una straordinaria serata a Ponte di Legno (Brescia) per la presentazione della riedizione del libro "La montagna non dorme" di Dario Morelli con l'auditorium comunale gremito dal pubblico che ha apprezzato la mostra dedicata "Volti e luoghi della Resistenza Camuna", dell'artista camuno Edoardo Nonelli, esposte all’ingresso del municipio.
Le opere di Edoardo Nonelli hanno impreziosito le pubblicazioni "La Resistenza in Valle Camonica" di Paolo Franco Comensoli, "La terza età della Resistenza" di Tullio Clementi e Luigi Mastaglia, realizzato in contemporanea e a supporto del restauro del museo del Ricordo e della Memoria di Sonico, e "La mia Avventura” di Salva Gelfi a cura di Stefano Sandrinelli e Paolo Franco Comensoli.
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Al tavolo degli oratori Annalisa Morelli, figlia dell’autore, Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, Rolando Anni, responsabile dell'Archivio storico della Resistenza Bresciana e dell’età contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Brescia, Aurelia Sandrini, sindaco di Ponte di Legno, Ezio Gulberti, coordinatore dell’Associazione Fiamme Verdi Alta Valle Camonica. I lavori sono stati coordinati da Angelo Moreschi della Commissione Scuola Fiamme Verdi e ANPI (Ermes Gatti) di Vallecamonica, mentre i vari interventi sono stati trascritti e curati da Luigi Mastaglia.
L'INTRODUZIONE
Angelo Moreschi, nell'introdurre la serata e la riedizione del libro “La Montagna non Dorme”, ha sottolineato: "Innanzitutto vorrei sottolineare che la riedizione di questo volume, è un’iniziativa voluta dall’Associazione delle Fiamme Verdi, con il contributo anche dei Comuni dell’Alta e Media Valle, un'iniziativa direi di valore notevole, perché questo volume, stampato nel 1968 era oramai introvabile, quindi è un servizio importante per chi vuole conoscere e approfondire le tematiche della Resistenza in Valle Camonica ed è anche il momento giusto per far conoscere di più questo movimento importante, perché finita la guerra è calato l’oblio sulle vicende della Resistenza. Personalmente, per esempio, ho avuto in dono questo volume nel 1969 quando frequentavo l’Università e mi ricordo che nelle scuole, allora, non si parlava mai di Resistenza. Non ci affrontavano questi problemi, probabilmente c’erano delle motivazioni profonde, c’erano state lacerazioni nel tessuto connettivo della società, c’era poi stata anche un po’ di delusione tra coloro che avevano combattuto, perché i valori per i quali avevano combattuto, non sempre erano perseguiti, soprattutto per quanto riguarda l’Uguaglianza ed ancora, in riferimento alla Giustizia. Poi, passando gli anni, piano piano, ci si è avvicinati a questo problema. La Commissione Scuola delle Fiamme Verdi e dell’ANPI che è stata intitolata a un valoroso Partigiano Ermes Gatti, si è introdotta nelle scuole parlando appunto della Resistenza. In questo modo ci si è potuti avvicinare a questa tematica e anche nelle scuole ora c’è un grande interesse per la Resistenza"
L'INTERVENTO DEL SINDACO AURELIA SANDRINI
Nel suo intervento il sindaco Aurelia Sandrini ha sottolineato: "Credo sia doveroso ringraziare tutti gli ospiti che ho qui accanto, personaggi molto importanti, che questa sera hanno il compito di illustrarci questo prezioso volume ambientato nei nostri territori e quindi noi abbiamo, insieme ad altri Comuni ed Enti, con la collaborazione della Biblioteca Civica, patrocinato questa iniziativa. Ringrazio innanzitutto Annalisa Morelli, figlia di Dario Morelli, ospite gradito per molti anni di Ponte di Legno, come lo è ora la signora Annalisa, ringrazio il sindaco di Brescia che abbiamo disturbato nel mezzo delle sue vacanze estive e che con molta cordialità ha voluto essere presente con noi questa sera, il professor Rolando Anni, ricercatore presso l’Archivio storico della Resistenza bresciana, e Angelo Moreschi. Insieme a noi è presente Ezio Gulberti coordinatore dell’Associazione Fiamme Verdi per l’alta Valle Camonica. Il Comune, la Biblioteca e gli Enti prima citati, tenevano molto ad una serata come questa nella quale viene presentata la riedizione di questo volume, che parla soprattutto delle azioni delle Fiamme Verdi nei nostri territori. Nel libro sono descritte molto bene le due battaglie che si sono svolte in Mortirolo dove le Fiamme Verdi hanno avuto la meglio sulle formazioni fasciste. Non voglio tediarvi oltre che cedo la parola a chi meglio di me sarà in grado di spiegarvi contenuti di questo libro"
I RICORDI DI ANNALISA MORELLI
Annalisa Morelli ha ricordato: "Mio padre non era una persona facile, non lo è stato come padre e sicuramente non lo è stato come insegnante. A Brescia quando incontravo persone della mia età chiedevo se erano stati gli allievi di mio padre ed il mio terrore era che mi rispondessero si. Ma sia io come figlia, sia i suoi allievi, abbiamo constatato che il suo filo conduttore era la Giustizia. Era una persona giusta e se anche durante le lezioni volava qualche libro, lo faceva a fin di bene perché era una cosa giusta. Questo viene raccontato, lo dice qualcuno che lo sa, che aveva un cuore grande. Rovistando per casa ho trovato, tra le carte di mio padre, giudizi scolastici che nemmeno sotto tortura svelerò, ma vi assicuro che erano fantastici! Effettivamente leggere giudizi scolastici gli esami di maturità, prevalentemente, di persone ormai grandi e che magari avevano assunto alte responsabilità, vi assicuro che è stato piacevole. I genitori, normalmente si scoprono quando è tardi, quando non ci sono più, restano tante domande spesso senza risposte. Io lascio il racconto della vita di storico e di ricercatore, a chi ha vissuto con lui queste esperienze. Probabilmente Rolando Anni, abbiamo scoperto, che lo conosce più di noi, sono molto contenta insieme ai miei fratelli, che l’archivio sia finito l’Università Cattolica, perché l’impressione che si prova vedendo molti ragazzi giovani frequentare questo archivio della Resistenza è un’impressione forte, non me lo sarei mai immaginato e sbagliavo, probabilmente i giovani sono molto più interessanti a questi problemi, di quanto noi crediamo, non ce ne rendiamo conto. A noi figli ha lasciato un grande bisogno di Giustizia che era la sua nota principale e forse anche quel grado di ribellione che è servito a tutti noi per reagire di fronte ai problemi della vita. Lui è stato un Ribelle e in fondo un po’ ribelli lo siamo anche noi. La cosa che mi ha sempre impressionato è che questo libro è stato pubblicato nel 1968, quando noi tutti e tre, ne combinavano di tutti i colori, non eravamo del tutto ligi agli insegnamenti. Non so se sia stato fatto per coincidenza o se qualcosa sia scattato, forse Rolando ha una risposta, io personalmente non l'ho. Chiudo con una nota doverosa su mia madre che è stata il vero muro portante della nostra famiglia e soprattutto una sua grande alleata prima durante e dopo. Prima durante la guerra e durante tutto il periodo del fascismo, sappiamo che le Donne sono state fondamentali. Durante la vita che non è sempre una passeggiata, ci sono momenti molto difficili. E dopo, negli ultimi anni, quando mio Padre è stato veramente molto male e quindi ha cominciato ad avere bisogno di persone che pensava di non dover mai disturbare. Mia Madre non l’ha mollato nemmeno un secondo, sono stati anni molto difficili ma pieni di emozioni che non confesso perché fanno parte delle mie cose private. Grazie a tutti".
LA RELAZIONE DI EMILIO DEL BONO
Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, ha ringraziato per l’invito e descritto il legame della famiglia con Morelli. "In realtà - ha detto il sindaco di brescia - questo libro lo conoscevo già perché è circolato tanto nella mia famiglia perché il legame di Dario Morelli con mio zio Don Igino Del Bono, citato in questo libro alcune volte, era un legame molto forte. Una delle prime volte che sono venuto Ponte di Legno è stato per accompagnare mio zio a trovare Dario Morelli e questo mi è rimasto molto impresso perché, poi nel corso del tempo, le ragioni di questo legame sono risultate un po’ più chiare perché allora pensavo fosse semplicemente un’amicizia, in realtà era un’amicizia che aveva questo vissuto così intenso in comune, un vissuto di cui voglio dire alcune cose. Perché questo libro mi piace ricordarlo, innanzitutto è un libro molto impegnativo. E’ una ricostruzione rigorosa, oserei dire quasi scientifica, dal punto di vista storico Rolando Anni sarà molto più preciso di me. C’è il rigore dello storico, la ricerca della fonte, la precisione delle date, la precisione delle persone, dei riferimenti, perché non voleva essere un volume genericamente o retoricamente della Resistenza, ma ha voluto ricostruire il contesto della storia delle Fiamme Verdi nell’alta Valle Camonica. Che cosa mi ha colpito di questo volume, prima questione: il substrato culturale e civile che si percepisce tra le storie che sembra non abbiano connessione, ma che poi ce l’hanno. Quali sono questi tre elementi/eventi cui si fa riferimento? I Partigiani delle Fiamme Verdi sono i figli dello spirito combattivo, della volontà di libertà dei bresciani. Non è un caso che uno dei riferimenti precisi è al Risorgimento, alle 10 giornate di Brescia. C’è un richiamo, che mi ha colpito, alle 10 giornate di Brescia, cosa c’entrano le 10 giornate di Brescia con la Resistenza? E’ evidente che nel 1849 in piena stagione risorgimentale, volontà di libertà, di liberarsi dall’oppressore, in quel caso austriaco, ha un filo conduttore con lo spirito di libertà, la volontà di essere persone libere. Il secondo riferimento: la campagna di Russia, perché alcune persone protagoniste poi della Resistenza in alta Valle Camonica provengono dall’esperienza della campagna di Russia e anche questo è un elemento molto interessante perché viene esplicitato questo collegamento, questo substrato civile e culturale. Ed infine: la cultura della resistenza che poi viene richiamata in più di un’occasione e che poi anch’io voglio sottolineare. Quindi quale il substrato culturale e civile di coloro che decisero di andare in montagna e quindi di fare questa scelta di Resistenza? Non era un substrato culturale improvvisato ma era evidentemente un punto di vista che accomunava certamente tanti resistenti al fascismo durante quel periodo ma che nel bresciano aveva delle caratteristiche peculiari e che affondavano le loro radici in esperienze di vita tramandate e quindi molto più vive e interessanti. Un’altra considerazione che mi piace ricordare di questo libro, il profondo legame tra la città e la Valle Camonica che emerge moltissimo, perché le esperienze di vita che s’intrecciano tra coloro che qui fanno la scelta di aderire alle Fiamme Verdi e l’esperienza antifascista della Resistenza in città è stata fortissima, tant’è vero che alcune di quelle persone fanno la scelta di venire qui e non è un caso perché nella città come in Valle da Camonica si identificano due punti di maggiore Resistenza al fascismo. La città perché trovava dei luoghi naturali, che qui vengono richiamati, la Pace cioè i Padri Filippini della Pace che sono il riferimento più acuto e forse più intenso di formazione antifascista della borghesia bresciana, il vero luogo seguitissimo perché tutti i Padri Filippini erano antifascisti, pensate alle personalità che pagarono anche un alto prezzo, pensate a Padre Manziana, a Padre Caresana, a Padre Olcese, a Padre Bevilacqua, ci sono tutti ovviamente anche mio zio. Tuti i Padri Filippini fanno quella scelta, una scelta fortissima fatta da tutti. Non sono antifascisti solo per una visione provinciale e locale, sono antifascisti perché il cuore dei Padri Filippini, l’oratorio della Pace fu allora uno dei posti più internazionali di Brescia, essi tenevano rapporto ad esempio con i francesi, la letteratura francese di Mariten e di Moliere ecc. passa attraverso la divulgazione fatta dai Padri di San Filippo Neri, dall’oratorio della Pace e gira anche nel mondo bresciano. Hanno dei contatti anche con il mondo inglese, perché il Cardinale Neuman era uno dei punti di riferimento, quindi c’è uno substrato culturale molto forte un filo conduttore di tante biografie che poi fanno la Resistenza in Valle Camonica e sul Mortirolo. La Pace non è l’unico luogo, c’è palazzo San Paolo dove c’è la sede dell’Azione Cattolica tendenzialmente antifascista, il Vescovo di allora era antifascista. Racconto un episodio che mi è stato riferito da mio zio, allora non si passava da piazza Vittoria nella quale faceva spicco la statua del Bigio, ma non come si diceva per ragioni di pudicizia, il Bigio era una statua con delle nudità, ma perché, la piazza e la statua celebravano l’apoteosi del fascismo ed il Vescovo raccomandava di non transitarvi. Erano molti i luoghi sacri nei quali ci si scambiavano informazioni, ad esempio nelle sagrestie del Duomo, la stessa Chiesa di San Faustino era un luogo di antifascisti, quindi la città aveva un suo radicamento, quindi paga un prezzo formidabile, ricordiamo appunto Padre Manziana che fini in campo di concentramento, pensiamo alla fine che hanno fatto Margheriti e Lunardi, fucilati e don Vender che evidentemente paga il suo prezzo e così via. Quindi possiamo dire che il legame tra la città e la Valle è fortissimo.
La Montagna non Dorme è un libro che evidentemente mi ha anche ricordato mio zio, ci sono tre casi importanti in cui appare mio zio. La mia è una famiglia antifascista, un altro zio Lorenzo è stato internato per il rifiuto di arruolarsi con la Repubblica di Salò, un altro mio zio fece la scelta di andare con l’esercito americano e mio zio Don Igino Del Bono era a Roma con Padre Caresana, nella famosa Chiesa Nuova perché li stavano i Padri Filippini, una parte dei Padri Filippini bresciani erano a Roma e mio zio fu arrestato incarcerato a Regina Coeli perché in una omelia aveva criticato il duce e il regime per questo venne arrestato per vilipendio al capo dello Stato e passò alcuni mesi in carcere, dopo di ché fu mandato al “confino” a Biella ove andò a costruire rapporti con la Resistenza locale, decisero allora di mandarlo al “confino” a Ponte di Legno. Mio zio considerò la cosa abbastanza originale, ebbe modo di dire “è come mettere un topo nel formaggio, mi mandarono in uno dei luoghi più antifascisti della provincia di Brescia”. Dopo l’8 settembre 1943, in città, gli antifascisti furono sistematicamente dispersi, lì c’era un controllo forte, non dobbiamo dimenticare che dopo la realizzazione della Repubblica sociale, Brescia divenne sede anche di Ministeri quindi fu intensificato il controllo da parte dei fascisti e dei nazisti che operarono rastrellamenti con l’intento di ripulire la città da tutti gli elementi antifascisti. In Val Camonica la situazione era diversa anche per la forte solidarietà riscontrata tra la popolazione. Lo pseudonimo di mio zio era (Monti) ma anche (Padre Agapito) con il quale viene menzionato sul libro quando saliva a celebrare la Santa Messa in Mortirolo.
Il legame tra Dario Morelli, le Fiamme Verdi, il Clero bresciano, non a caso troviamo moltissimi sacerdoti della Valle in prima fila, mio zio aveva soprattutto rapporti con il parroco di Ponte di Legno, Don Giovanni Antonioli. Sul libro vengono citati i molti sacerdoti impegnati anche a rischio della propria vita. Una stranissima vicenda raccontata nella quale furono coinvolti mio zio e Don Antonioli è riferita ad un trasferimento di armi, loro consegnate da un distaccamento di vigili del fuoco, che vengono trasferite in una villa. A me ha fatto una certa impressione pensare a dei sacerdoti che trasferiscono armi da un posto all’altro. Emergono con chiarezza i legami e di contatti con Achille Citroni capo distaccamento in Mortirolo, con lo stesso Comandante della Divisione Tito Speri delle Fiamme Verdi Romolo Ragnoli, a sottolineare il legame stretto tra la montagna e la città.
Altro argomento è: La Guerra di Popolo, mi è sempre piaciuta questa definizione che si trova anche negli scritti di Pietro Scoppola il quale sostiene che la Resistenza fu anche guerra di popolo perché aveva trovato forti solidarietà tra la popolazione. L’aiuto si manifestava attraverso una serie di azioni a sostegno delle formazioni partigiane, l’analisi che fa Dario Morelli mette in luce come in Valle Camonica il legame tra la popolazione ed i ribelli che fosse una cosa geneticamente dimostrabile e dimostrata. Questo mi ha colpito moltissimo perché non è così facile trovare espressioni così nette e ne dà una spiegazione anche sociologica ma, il Prof. Anni ci saprà dire quanto fondata e in parte una spiegazione dovuta proprio ad una cultura della popolazione dell’alta Valle. Si citano fatti importanti nei quali in interi paesi si creano le condizioni, un retroterra che facilita le formazioni partigiane. Corteno viene segnalato in modo particolare perché lì ci sono fatti particolarmente pesanti ed il paese paga un prezzo altissimo per questa sua solidarietà con i Partigiani ma, è interessante l’analisi che generalmente si fa, in alta Valle Camonica quasi tutta la popolazione aiuta i Partigiani perché evidentemente si sente solidale con questa battaglia per la libertà. Né dà anche una spiegazione sociologica, la Valle Camonica da sempre zona periferica emarginata, povera dal punto di vista agricolo e che ha sempre dovuto faticare per poter vivere, la fatica è da sempre una condizione quotidiana. La popolazione non ha mai verificato negli occupanti la volontà a cercare di risolvere questi problemi ma ha sempre constatato un atteggiamento di rapina e di negazione della libertà. Anche questa chiave di lettura è interessante per le caratteristiche che mette in luce.
Ultima cosa che mi preme di sottolineare lo spirito che, pur nella rigorosità dell’analisi, c’è in questo libro, perché queste persone alla fine scelsero la Resistenza al di là del substrato culturale, c’è un patrimonio di idealità e queste idealità viene richiamata con forza, si utilizzano tre valori di riferimento: la Libertà che è forse il valore più importante per cui si combatte, l’Equità e la Giustizia che possono apparire sinonimi in quanto uno dice una persona equa e giusta, in realtà non è così, l’equità è un po’ più terrena, la giustizia è un afflato che ha anche una dimensione spirituale che va oltre e, dove emerge questo afflato così potente? Nelle parti finali del volume dove è scritto che il 2 maggio 1945, l’alta Valle si libera, se ne vanno i fascisti e se ne vanno soprattutto i tedeschi e i Ribelli tornano nei paesi tornano alle loro case e alla fine c’è una frase molto bella “… queste persone sono libere ma si chiedono se hanno il diritto ad esserlo” in definitiva si chiedono se saranno capaci di far crescere questa sensazione di libertà, è un passaggio molto forte che io interpreto così, sono persone che sono state in montagna, hanno combattuto, molti compagni sono morti, molti imprigionati e torturati, e loro si chiedono se avranno la forza di governare questa libertà che hanno conquistato per tutti. Cose che dette in questi tempi nei quali noi abbiamo sperimentato la democrazia e la libertà ci fanno pensare a loro come persone molto importanti. Viene utilizzata anche un’altra espressione Umiltà che francamente colpisce, cioè persone che scelgono di ricostruire la propria esperienza democratica con un sentimento di umiltà e di limite delle proprie capacità, quindi una dimensione molto profonda per cui per me quella spinta alla giustizia che prima veniva richiamata è una spinta che va ben oltre la dimensione dell’equità e poi, questo richiamo costante: “non hanno fatto la guerra per odio e non vogliono odiare, hanno fatto una guerra esattamente per le ragioni opposte” e qui riecheggia il nome che si sono voluti dare “Ribelli per Amore”. Questo sentimento di giustizia che richiede anche ad un regime militare nelle formazioni: non debbono esserci episodi di furto, di danno verso la popolazione civile, vengono sanzionati puniti loro che commettono dei furti o arrecano danni alla popolazione. Coltivano dunque un sentimento di giustizia profondo che non accetta che la guerra disumanizzi, distrugga quel patrimonio valoriale e umano, di cui loro si sentono portatori, quando ci sarà la liberazione e questo è un nocciolo importante che emerge molto bene nel libro ed è veramente bellissimo. È un libro da leggere, da rileggere e soprattutto è un monito, un fortissimo monito sull’oggi perché fa vedere che cosa è costato ricostruire la condizione della libertà, cioè quali sacrifici, quali scie di sangue, quali ferite profonde sono rimaste in queste persone negli anni, nei decenni dopo. Questo monito soprattutto valido in questi tempi nei quali si dà per scontata la libertà e la democrazia, non capendo che siamo tra i pochi angoli del pianeta nel quale la libertà e la democrazia ci sono, con tutti i loro limiti e tutte le loro inadeguatezze. Probabilmente questa è anche la ragione per cui utilizzare bene questa libertà, come emerge da questo libro, è un dovere altissimo. È un libro non solo voluminoso in termini quantitativi per numero di pagine, è molto pesante dal punto di vista dell’eredità che trasferisce al lettore, anche quello più distratto, perché alla fine quando capisci cosa c’è dentro, la densità di umanità, degli avvenimenti storici, la straordinarietà di quelle giornate, ti costringe a misurare la tua vita, i comportamenti tuoi, con la grandezza di queste persone che ci hanno segnato il cammino e lo hanno illuminato e hanno permesso a noi di essere qui questa sera senza il terrore che avevano loro ogni volta che s’incontravano per strada, o in una sala, o in una canonica, quindi ringrazio le Fiamme Verdi, la casa editrice la Morcelliana che hanno provveduto alla ristampa anastatica di questo prezioso e, fino ad ora, introvabile volume".
LA RICOSTRUZIONE DI ROLANDO ANNI
Rolando Anni, ha avviato la sua ricostruzione dicendo"Ho sentito molte suggestioni nelle parole che sono state dette finora, alcune le riprenderò, altre la lascio poi alla vostra meditazione, non uso per caso questa parola ”meditazione” perché è il caso davvero di riflettere su questo libro. Farò un po’ il professore, mi dispiace, ma questo è il mio compito entrerò può nel merito di alcune questioni tra le quali quella del rapporto con la popolazione che anticipo, è una cosa molto complessa ma è uno dei temi fondamentali di questo libro non solo di questo libro ma della Resistenza. Alcune premesse sulla impostazione storiografica, in secondo luogo l’analisi di alcuni temi che estraggo da questo voluminoso volume e infine alcune brevissime conclusioni. Innanzitutto devo confessare una certa esitazione che non è dovuta alla presentazione del libro di Dario Morelli e proporre alcune riflessioni su questo libro, quanto il dover parlare di lui, di Dario, mi permetto ora di chiamarlo col suo nome, non avrei mai osato quando lo conoscevo, sono stato mi pare dal 1976 a lavorare con lui e naturalmente molto spesso avevo bisogno di chiamarlo, di interpellarlo, per me è stato sempre il Professore. Io credo e spiego questa un po’ di esitazione, che per nulla avrebbe accettato qualsiasi forma di celebrazione e questa sera non la farò. Nessuna celebrazione ma uno sguardo a quello che ha fatto, è quello che avrebbe desiderato, anche io penso a questa sua ritrosia di non porsi mai al centro dell’attenzione, era rimasto un uomo della Resistenza, la Resistenza mette il pronome ”io” in secondo piano, mette in primo piano il pronome “noi”, in qualche modo Resistenza significa collettività contava davvero molto l’individuo ma mai da solo, sempre insieme agli altri. Mi limiterò dunque in consonanza col suo modo di fare storia, di vivere, di pensare, di dedicare uno spazio breve questo modo di vivere e di pensare. Quattro termini soltanto utilizzo: Rigore, l’ho conosciuto come storico, come lavorava con i documenti con un rigore davvero al limite della durezza, innanzitutto nei confronti di se stesso poi anche con gli altri, accompagnato dalla razionalità che qui credo sia stata alla base dei suoi studi scientifici, una razionalità che si ricava nello scrupolo delle sue ricerche storiche, tanto che preferiva non dire nulla piuttosto che azzardare delle ipotesi, questo è un grande insegnamento che mi ha dato, non sufficientemente basate sui documenti o sulle testimonianze.
Memoria, della memoria sui documenti e vicende della Resistenza è stato il custode, forse la sua opera più bella, a prescindere dai libri e dagli scritti lasciati, sia stato l’allora Istituto Storico della Resistenza Bresciana, ora ha cambiato nome ma di poco diventando Archivio Storico della Resistenza Bresciana e dell’età contemporanea, al quale ha davvero dedicato tutta la sua esistenza, lavorando però in modo tale che da una massa di documenti è nato un archivio cioè non un insieme di faldoni, di buste, di fascicoli, ma un luogo nel quale la memoria può essere non solo conservata ma anche studiata e tramandata, altrimenti non resta nulla quindi un luogo ideale piuttosto che una produzione di libri.
Il terzo termine è Storia, un termine davvero impegnativo, è quella che ha cercato di costruire con la coscienza critica che gli era davvero propria. Da storico scritto uno dei più bei libri, non esito a dirlo, della Resistenza bresciana ma non solo bresciana cioè “la Resistenza in carcere” di Don Giacomo Vender e di altri è del 1981, da questo libro, che raccoglie le lettere e i biglietti usciti con grande pericolo e clandestinamente dal carcere, si conosce davvero la moralità della Resistenza dalle parole che si leggono in questi biglietti, ed è l’unico libro, io penso, tranne forse nella conclusione de “La Montagna non Dorme” in cui parla di se, credo per la prima e l’ultima volta, quando descrive che cosa: la violenze e la dura vita del carcere che lui ha provato e di cui non ha voluto mai rivelare niente. Io gli ho chiesto più volte di registrare, me ne ha parlato indirettamente quando è arrivato al punto di come era stato veramente in carcere, “tu puoi immaginare …” ma in realtà io non ero assolutamente capace di immaginare. Ma c’è un brano, breve, in cui parla di tutto quello che succedeva in carcere, ma parla di sé anche se è riferito ad altri, anche se usa, ancora una volta, l’impersonale, mi permetto di leggere questa breve citazione e dice: “L’aspettativa dell’interrogatorio, l’attesa di quello che avverrà, diventa addirittura paralizzante quando vi si uniscono il ricordo della tortura già subita e l’orrore di quello che verrà.